Dentro la filiera della cocaina a Cosenza
Dentro la filiera della cocaina a Cosenza

Lo spaccio di cocaina a Cosenza non è un’attività improvvisata né marginale

È un sistema strutturato, gerarchico, compartimentato, ma allo stesso tempo fluido e adattabile. Ogni arresto rappresenta una sostituzione, ogni sequestro è un reinvestimento, ogni operazione repressiva uno scossone calcolato. Nulla si blocca davvero. Si riorganizza. Perché il sistema è pensato per reggere anche sotto pressione. La cocaina arriva in città con cadenza regolare, spesso nascosta su furgoni o auto insospettabili che percorrono la Statale 107 o l’autostrada Salerno-Reggio Calabria. A volte è già confezionata, altre volte pura, destinata a essere tagliata e moltiplicata. Una volta giunta a destinazione, la merce entra in una filiera ben articolata, dove ogni livello svolge una funzione precisa.

Acquisto e gestione quantitativi

Alla sommità ci sono i grossisti, i referenti del carico, che trattano direttamente l’acquisto e la gestione dei quantitativi. Alcuni sono legati alle storiche famiglie criminali locali, altri sono figure più ibride, che vivono tra legalità e criminalità. Acquistano cocaina in chili, spesso a 30-35 mila euro al chilo, e dopo il taglio e la distribuzione ne ricavano anche più di 100 mila euro netti. Il centro nevralgico dell’approvvigionamento rimane il porto di Gioia Tauro, sotto il controllo delle ‘ndrine reggine – Piromalli, Pesce, Bellocco – che garantiscono l’arrivo sicuro della merce dai cartelli sudamericani. Ma non è l’unico canale. Altri grossisti, soprattutto i più giovani, preferiscono trattare direttamente con referenti napoletani o baresi, sfruttando sinergie consolidate con clan della camorra o gruppi criminali pugliesi. In questi casi, il passaggio avviene lungo l’autostrada: i cosentini risalgono fino a Salerno o Benevento, prendono il carico in zone industriali semi-abbandonate, e rientrano in Calabria di notte o all’alba, spesso a bordo di auto con doppio fondo o guidate da insospettabili.

La rotta della Sicilia

 C’è infine chi utilizza la rotta siciliana: la cocaina arriva dalla Sicilia orientale, passando per lo Stretto via Messina-Reggio Calabria. I contatti, in questo caso, sono con piccoli gruppi catanesi che lavorano direttamente con i broker sudamericani e fanno arrivare i carichi via nave, sfruttando porticcioli minori e scali meno controllati. Una volta giunta in città, la cocaina viene nascosta per poi essere tagliata, divisa in panetti più piccoli e riconfezionata per la distribuzione. Tutto avviene sotto un rigido protocollo di sicurezza: telefoni usa e getta, auto staffetta, videocamere installate privatamente ovunque, e la regola ferrea che nessuno, dal secondo livello in giù, deve sapere da dove arriva la roba.
Il secondo livello è occupato dai distributori di zona, i cosiddetti “capi cellula”, che controllano le piazze nei quartieri della città e dell’area universitaria. Ogni capo gestisce una propria rete: chi spaccia, chi incassa, chi prepara, chi trasporta. Le consegne sono rapide, i telefoni cambiano in continuazione e i movimenti sono coordinati come in una piccola azienda. Molti si muovono in scooter, altri affidano la droga a giovani incensurati o con precedenti minori, pronti a fare da scudo in caso di controlli.
Al livello più basso ci sono i pesci piccoli, gli spacciatori di strada. Sono loro il volto visibile del sistema, ma anche il più sacrificabile. Spesso si tratta di minorenni, disoccupati, tossicodipendenti, immigrati irregolari o ragazzi provenienti da famiglie complicate. Spacciano “storie” da 30 o 50 euro. Prendono una percentuale sulla vendita o un fisso giornaliero. E quando non servono più, o diventano ingombranti, i confidenti li vendono alla polizia.

Il “giro buono” di Cosenza

Accanto a tutto questo, esiste però un circuito parallelo, silenzioso e molto più redditizio: quello che a Cosenza viene definito il “giro buono”. È il mercato della cocaina di lusso, riservato a clienti selezionati – professionisti, imprenditori, avvocati, medici, studenti universitari con disponibilità economiche. Qui la droga non si vende per strada: si ordina. Le consegne avvengono a domicilio, e i venditori sono spesso insospettabili. La qualità è più alta, il prodotto spesso meno tagliato, e chi compra non si considera un tossico, ma un cliente di fiducia. Chi vende non è uno spacciatore, ma un fornitore. E in questo mondo, nessuno parla.
In tutta la provincia di Cosenza, il sistema si autosostiene. Le operazioni di polizia lo colpiscono, ma non lo spezzano. I blitz fanno rumore, ma non toccano il cuore del problema. I sequestri sono già calcolati. Le condanne sono preventivate. E ogni grande inchiesta – da Reset a Recovery – racconta la stessa realtà: che la droga è il carburante di un’economia parallela, che i nomi cambiano ma le regole restano, e che chi dovrebbe interrompere il ciclo, spesso, è parte del problema. O almeno, ne è spettatore silenzioso.