"Sì al modello Veneto, con più tamponi per testare la positività al Covid-19, prevedendo anche test periodici sugli operatori sanitari nei reparti ad alto rischio". A chiederlo è Susanna Esposito, presidente dell'Associazione mondiale per le malattie infettive e disordini immunologici (Wadid), che suggerisce anche di "utilizzare parte dei fondi per ampliare la rete dei laboratori che devono analizzarli".
La situazione oggi, spiega "è di persone che chiamano per il tampone, ma se non hanno la febbre da almeno 2-3 giorni e se non hanno avuto il contatto stretto con persone Covid-positive non vengono controllate, solo messe in isolamento. Questo, però, induce comportamenti di precauzione diversi rispetto al sapere di essere realmente positivi".
L'opinione che si diffonde quindi tra gli esperti, incluso Massimo Galli, direttore Malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, è che sia necessario estendere i tamponi a persone con sintomi lievi e a quelle venute a contatto con i malati, pur se non presentano sintomi. "Il piano della Regione Veneto è
stato finora quello di fare molti tamponi per la rilevazione precoce dell'infezione e questo ha permesso di avere una letalità inferiore nei contagiati, circa il 2,4%, rispetto a un media nazionale del 6,5%", osserva Esposito, ordinario di Pediatria all'Università di Parma e specializzata in Infettivologia. L'intenzione del governatore Luca Zaia è ora quella di andare alla ricerca, con tamponi a caso su passanti, di persone inconsapevoli di esser positive al Coronavirus.
"Questa soluzione andrebbe accolta anche nelle città con focolai epidemici significativi, come Bergamo, Parma e Piacenza, per verificare la prevalenza di asintomatici e paucisintomatici, che possono trasmettere il virus". Sono però troppo pochi i laboratori per analizzare i test. "Non riescono a reggere il carico di lavoro e danno risposte in ritardo, anche per i ricoverati. Parte dei fondi - conclude Esposito - andrebbero
utilizzati per attrezzare altri laboratori a questo scopo".