Omicidio Boiocchi: la Calabria e i legami oscuri con il tifo organizzato. Il lato oscuro delle curve italiane
L'omicidio di Boiocchi, apparentemente un atto di contesa all’interno del tifo organizzato, nasconde, sotto la superficie, un altro mondo

Nei giorni scorsi, l'operazione della Procura della Repubblica di Milano - Direzione Distrettuale Antimafia ha portato a un'ulteriore inquietante svolta nelle indagini sull'omicidio di Vittorio Boiocchi, uno dei principali esponenti del tifo organizzato della curva dell'Inter, ucciso in un contesto di lotte interne tra le fazioni. Sei arresti, di cui due presunti esecutori materiali arrestati in Vibo Valentia e Sveti Vlas, in Bulgaria, hanno messo in evidenza la connessione pericolosa tra il tifo violento e il crimine organizzato, un legame che va ben oltre la passione sportiva. L'omicidio di Boiocchi, apparentemente un atto di contesa all’interno del tifo organizzato, nasconde, sotto la superficie, un altro mondo, quello degli affari illeciti, dei traffici, della spartizione di guadagni derivanti da attività collegate agli stadi, come il controllo degli ingressi, i biglietti, e la gestione di spazi legati alle partite di calcio. E qui entra in gioco un dato che non può essere ignorato: la Calabria. Un legame che va oltre la casualità e che spinge ad interrogarsi sulle dinamiche che uniscono una parte del tifo ultras con gli ambienti mafiosi. La Calabria, terra segnata da una lunga storia di criminalità organizzata, ha sempre avuto una connessione preoccupante con vari fenomeni di violenza, ed è proprio qui che la narrazione di omicidi legati alle curve e alle rivalità tra tifoserie diventa più complessa. Vibo Valentia, con i suoi legami con la criminalità organizzata e la sua posizione strategica, non è affatto nuova a tali dinamiche. L'arresto in questa provincia di uno dei presunti esecutori materiali dell'omicidio, un italiano di 30 anni, dimostra ancora una volta come la Calabria si inserisca come punto di riferimento in contesti criminali di diversa natura, dove il crimine organizzato non è più limitato a traffici di droga o estorsioni, ma si mescola anche con i beni illeciti legati alla gestione delle curve ultras.
La curva: un “business” che si alimenta anche di crimine
Il coinvolgimento di esponenti del tifo organizzato in crimini così gravi come l'omicidio fa emergere un aspetto che non è mai stato realmente sviscerato: il tifo violento e la gestione delle curve non sono solo un fenomeno passionale, ma anche un terreno fertile per affari sporchi. La gestione dei biglietti, la rivendita abusiva, il controllo delle aree all'interno e fuori dagli stadi sono solo alcune delle attività che alimentano questi gruppi, che ormai sono da considerarsi vere e proprie fazioni criminali. Un settore che ha visto negli anni numerosi episodi di violenza e rivalità, ma anche una competizione spietata per il controllo delle risorse economiche legate al calcio. La Curva Nord dell'Inter e i suoi conflitti interni non sono altro che la punta dell'iceberg di un sistema più vasto. Quando il mandante dell'omicidio, secondo quanto rivelato dal collaboratore di giustizia Andrea Beretta, ha dichiarato che il delitto fosse stato commissionato per un compenso di 50.000 euro, è diventato evidente quanto il tifo ultras, purtroppo, sia legato a interessi economici di grande portata. L’affare, quindi, non è solo un simbolo di fanatismo sportivo, ma una copertura perfetta per attività illecite, che spaziano dal traffico di biglietti ai guadagni derivanti dal controllo di spazi legati all’ingresso e all’infiltrazione in vari ambiti legali.
Il rischio di un legame pericoloso: la Calabria e l’ombra della ‘ndrangheta
Crotone, Reggio Calabria, Vibo Valentia: i nomi calabresi tornano a riecheggiare nei luoghi in cui la 'ndrangheta trova terreno fertile per i suoi affari. Non è un caso che molti degli arrestati e degli indagati legati all'omicidio Boiocchi provengano proprio da zone dove la criminalità organizzata è predominante. La presenza della mafia calabrese nelle dinamiche del tifo organizzato potrebbe non fermarsi solo all'omicidio, ma potenzialmente estendersi a tutti quei business paralleli che gravano sugli stadi, sui biglietti, sul merchandising, sulle zone limitrofe agli impianti sportivi. La domanda che si pone ora è una sola: quante altre “curve” in tutta Italia sono infiltrate dalla criminalità organizzata? Quanti altri gruppi di tifosi sono in realtà facciate per traffici illeciti, per speculazioni economiche e per il controllo di risorse che dovrebbero appartenere solo al mondo dello sport?
Una svolta possibile?
Nonostante il quadro desolante, l’operazione della Procura di Milano è una delle poche luci in un sistema che sembrava quasi blindato. Un messaggio che, forse, potrebbe finalmente mettere sotto i riflettori il vero volto del tifo ultras, quello fatto di violenza, di soldi sporchi e di alleanze pericolose. Ma il passo decisivo per una vera trasformazione non può essere solo nelle mani delle forze dell’ordine. Il cambiamento deve venire anche dalle istituzioni e dalla società civile. È ora di parlare di un calcio che non sia solo denaro, potere e violenza, ma che torni ad essere sport, passione, divertimento. La speranza, ancora una volta, è che l’intera comunità si mobiliti per denunciare questi legami e offrire alternative sane a chi si trova coinvolto in questo vortice di crimine. L'operazione che ha portato alla luce il caso Boiocchi deve segnare l'inizio di una riflessione collettiva che metta fine al connubio tra calcio e criminalità. Il tifo dovrebbe essere un simbolo di unità e passione, non una giustificazione per gli affari illeciti che si nascondono sotto la superficie di ogni partita. Solo così, forse, le curve italiane torneranno ad essere il cuore di una passione sana e genuina.