L'agroalimentare si conferma traino dell'economia italiana
L'agroalimentare italiano si conferma nel 2019 traino dell'economia italiana, con prospettive più che rosee per il 2020 e un export a fare la parte del leone. A dirlo è Filiera Italia sulla base dei dati a consuntivo del settore agroalimentare per il 2019.
E' un settore che "cresce molto più del resto del manifatturiero italiano e che ha continuato a tirare in un contesto Paese sempre più in stallo" commenta Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia. In un anno in cui Il Pil previsto è a un tasso simbolico del +0,2%, dopo la striscia di aumenti fra il +0,8% e il +1,7% registrata nel quadriennio 2015-18, in un contesto internazionale estremamente complesso in cui le guerre commerciali in atto hanno creato incertezza nei flussi di investimento internazionali, raffreddando la macchina commerciale globale non a caso, l'espansione del commercio internazionale 2019 si è ridotta ad appena il +1,2%, secondo Filiera Italia, si dimostrano ancora più meritevoli i dati molto positivi che il settore agroalimentare è riuscito a realizzare. A cominciare da una crescita record dell'export (+6,9%) sia rispetto all'anno precedente (che si era chiuso a +3,4%) che rispetto al resto del settore manifatturiero nazionale (+2,7%).
Un export alimentare che chiuderà il 2019 a circa 35,2 miliardi di euro, raggiungendo quindi il 24,3%, di quota export sul fatturato. Sommando poi anche le esportazioni agricole, il totale export agroalimentare farà circa 43 miliardi, avvicinandosi sempre di più all'obiettivo di 50 miliardi fissato nel 2015, considerando anche che già nel prossimo anno si può fare una previsione di crescita dell'export, a seconda dell'andamento mondiale, fra il 5 e il 7%. "Un anno in cui il Paese intero ha preso maggiore consapevolezza della filiera agroalimentare nel suo complesso - dice ancora Scordamaglia - che dalla produzione agricola, all'industria di trasformazione, alla distribuzione e ristorazione rappresenta oggi il primo settore economico e sociale del Paese con 538 miliardi di euro di fatturato e circa 3,6 milioni di occupati. Ma soprattutto che con il suo valore aggiunto di 119 miliardi (pari all'intero Pil sommato di Norvegia e Danimarca) si conferma produttore ed utilizzatore di prodotti ad alto valore e non di commodities".
Una posizione di forza che secondo lo studio di Filiera Italia aiuterà il settore ad affrontare un 2020 che a livello globale promette di essere maggiormente rasserenato, fatti salvi imprevisti geopolitici. Rasserenato secondo Scordamaglia “innanzitutto dalla distensione in atto della guerra commerciale Usa Cina e da un quadro, seppur ancora da definire, di minore incertezza sulla Brexit”. Condizioni queste che, se confermate, lascerebbero intravedere prospettive per il commercio mondiale nel 2020 ancora migliori, con una crescita prevista a tasso doppio del 2019, attorno al +2,4%. Resta per l'Italia l'incognita dei dazi di Trump che secondo il meccanismo a carosello potrebbero essere modificati sin dal prossimo febbraio con effetti che potrebbero risultare più o meno penalizzanti - a seconda di quello che l'Amministrazione Trump deciderà - per il nostro export agroalimentare verso gli USA che nel corso del 2019 ha acquisito ancora più importanza e che con 4,6 miliardi di euro arriva a ridosso del primo mercato di esportazione italiano, la Germania.
“Restano alcune incognite, prima fra tutte quella del mercato alimentare interno” dice ancora il consigliere delegato di Filiera Italia. Le vendite alimentari, infatti, in valore hanno mostrato nei primi 10 mesi un aumento in valuta corrente del +0,9% sullo stesso periodo 2018, che si trasforma in un +0,1% in volume, hanno proseguito la loro crescita, con un +4,3% in valore, nel confronto sui 10 mesi, i discount alimentari. In ogni caso la stagnazione dei consumi interni è confermata anche se le vendite alimentari, in occasione delle feste natalizie e di fine anno, hanno mostrato spunti interessanti. Altro limite, secondo l’analisi Filiera Italia, comune al manifatturiero è la bassa produttività su cui bisogna lavorare. Il PIL per ora lavorata nazionale cresce mediamente del +0,3% annuo, che significa 6 o 7 volte meno rispetto ai maggiori partner europei. E su questo aspetto il settore fa peggio del manifatturiero generale se consideriamo che la produttività per dipendente del settore alimentare ha mostrato nell’ultimo decennio crescite del +15,5%, oltre la metà del manifatturiero generale.
Fonte Ansa