Editoriale | Covid-19, troppo pochi i tamponi in Calabria
Uno dei fondamentali strumenti per poter contenere il contagio da Coronavirus, oltre all'obbligatorio distanziamento sociale, è anche il sottoporsi al test dei tamponi per sapere se si è contagiati o meno, considerando, soprattutto, che gli asintomatici positivi sono comunque portatori di contagio. Ed in questo senso i 14.248 test effettuati in Calabria dall'inizio della pandemia sono una cifra effettivamente troppo esigua. Considerando che almeno la metà dei circa 250.000 residenti in Calabria che vivevano per studio e per lavoro in altre regioni del Paese e finanche all'estero sono rientrati nell'ambito di un maxi - esodo all'inizio addirittura incontrollato, si tratta, comunque, di 14.248 test su una popolazione "reale" di almeno 1.820.000 abitanti. Si tratta dello 0,8%. A differenza del 3,4% del Veneto e dell'1,7% della Lombardia. A questo si aggiunge la penuria oramai cronica delle mascherine, dei presidi di protezione per gli operatori sanitari, la quasi inesistente protezione per gli operatori del 118, angeli in prima linea nella lotta al Covid19, per non parlare del ritardo per il potenziamento del numero dei letti di rianimazione e della generale e disastrosa situazione della sanità pubblica, figlia di una politica trentennale di una politica predatoria che strategicamente ha demolito la sanità pubblica per favorire quella privata accreditata dove si annidano interessi particolari e fiumi di tangenti per la stessa classe politica dominante. Il tutto nella più totale impunità garantita da rappresentanti delle Istituzioni, a tutti i livelli, corrotti e garanti di quella criminalità "invisibile" che oramai gestisce il territorio e domina la società in tutte le sue forme ed in tutte le sue espressioni. In un simile contesto e in una regione fragile e compromessa come la Calabria il Covi-19 ha fatto emergere palesemente tutte le debolezze e tutte le croniche malattie di un territorio malato da tempo immemore. Certamente la pandemia deve far riflettere e deve far comprendere che certi diritti come quello più sacro, quello della tutela della salute, impone un ritorno alla legalità, impone un ritorno al bene collettivo. Un concetto, quello di comunità, di società, di collettività, mai applicato in Calabria. Si impone, quindi, un cambio culturale, un cambio epocale. La storia insegna che i cambi epocali possono portarli in una società solo due eventi, la guerra e le pandemie. Chissà se questo vale anche per la Calabria. Una terra sempre immobile e sempre refrattaria a qualsiasi cambiamento. E, probabilmente, neanche il Coronavirus riuscirà a far cambiare i calabresi.
Gianfranco Bonofiglio, Direttore Calabria News 24