Il 25 Novembre è donna e dissidenza: no alle parole, sì ai fatti (concreti)
Una giornata "particolare": non serve una data per ricordare che le donne possono essere in pericolo, sempre e comunque
Il 25 novembre, così come il 25 maggio o il 12 giugno. Una data vale l'altra, soprattutto quando si parla di violenza di genere. Ma oggi, per essere convenzionali, ci atterremo alla cosiddetta “Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne”. Ed è proprio oggi, quando la gente indossa scarpe rosse, tinge e dedica panchine e organizza convegni che, noi donne, avvertiamo ancora più rabbia. Perché non può esserci una giornata commemorativa per tutto, soprattutto per ricordare che, sempre noi donne, siamo quotidianamente vittime di abusi in famiglia, sul lavoro, per strada e persino sui social.
Non siamo davvero libere
Non necessitiamo di una data per ricordare che possiamo essere in pericolo, sempre e comunque. Che dobbiamo guardarci le spalle un po' di più, che dobbiamo rinunciare a quella meta tanto desiderata perché sole abbiamo paura. E pure se alla paura, quella vera, non vogliamo e possiamo sottometterci, noi, un po' di timore, lo proviamo comunque. Insieme ad una buona dose di frustrazione, quella sensazione che sempre ci accompagna e ci rammenta, a mo' di diavoletto sulla spalla, che non possiamo permetterci di abbassare la guardia e che, in fondo, non siamo davvero libere.
Cosentine in lotta “non arretreremo di un millimetro”
Sullo stesso filone di pensiero si muovono anche le eroine cosentine dell'Associazione FEM.IN. - Cosentine il lotta" le quali, tra ieri e oggi, hanno scritto e realizzato un vero e proprio manifesto femminista, di libertà e dissidenza, dove parlano di “giornate di lotta, di rabbia e di cura”.
"Non vogliamo più commemorazioni simboliche né panchine rosse che mascherano l’assenza di reali azioni in materia di contrasto e prevenzione della violenza di genere.
L’impegno delle istituzioni italiane è ancora fortemente inadeguato, orientato prevalentemente alla punizione dei carnefici, senza attivare abbastanza risorse per costruire il cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno. Eppure negli anni sono stati istituiti piani strategici, investimenti e commissioni, che si sono rivelati inadeguati a fronteggiare il fenomeno e che nella stragrande maggioranza dei casi si sono risolti in promesse non mantenute".
“Basti pensare che sono trascorsi oltre dieci anni da quando il nostro Paese ha ratificato la Convenzione di Istanbul, senza che questa sia stata ancora pienamente applicata, e che l'attuale governo ha ridotto del 70% le risorse destinate alla prevenzione. Un anno dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, oltre 100 donne sono state uccise e i numeri dei femminicidi hanno subito una drastica impennata. Giulia non è stata l’ultima: i volti, i nomi, le storie di amiche, sorelle e compagne massacrate continuano imperterrite ad avvicendarsi nelle notizie di cronaca”.
“Abbiamo sotto gli occhi una vera e propria mattanza e, nel frattempo, le massime espressioni dello Stato strumentalizzano le nostre morti per fare gelida propaganda razzista, negando l’esistenza del fenomeno e legittimando la cultura dello stupro. Ma i femminicidi sono soltanto la punta dell’iceberg. Ogni giorno, in ogni contesto della nostra vita, ci sentiamo in pericolo. Dalle molestie per strada agli abusi negli ambienti di lavoro, dai commenti sessisti alle discriminazioni quotidiane, la violenza è una costante per tutte noi. La violenza non è solo fisica, è culturale e istituzionale, è l’aria che respiriamo, è il clima in cui cresciamo e invecchiamo”.
“Non scenderemo in piazza per commemorare passivamente le vittime, lo faremo per pretendere giustizia, per puntare il dito contro quella piramide di potere da cui arrivano soltanto parole, minuti di silenzio e politiche liberticide nei confronti delle donne. Non arretreremo di un millimetro: vogliamo continuare a vivere e vogliamo vivere libere!”.
Donna e dissidenza