Il Sud è il problema irrisolto dell’Italia, denuncia il direttore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta. La soluzione è una miscela di interventi che vanno dal più che necessario taglio del cuneo fiscale – 2 punti in meno potrebbero portare 1,2 punti in più di crescita nel Mezzogiorno – a investimenti più mirati, ma anche a un consolidamento degli intermediari finanziari. L’esponente di Via Nazionale li ha illustrati nel discorso tenuto a Foggia all’inaugurazione di Valoridicarta, partecipata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e dalla Banca d’Italia. Ecco alcuni dei passaggi più significativi.«Lo sviluppo del Mezzogiorno che rappresenta il problema irrisolto dell’economia italiana. Nelle regioni meridionali il Pil pro-capite è la metà di quello del Centro Nord; la disoccupazione è prossima al 20 per cento, il doppio di quella del resto del Paese. Le disuguaglianze e l’incidenza della povertà sono ampie. La dotazione infrastrutturale e la qualità dei servizi pubblici essenziali sono insoddisfacenti. Se non riusciremo a portare il Mezzogiorno su un sentiero di crescita robusto, duraturo non ci potrà essere vero progresso per l’Italia. È un obbligo verso un terzo dei cittadini italiani, cui vanno garantiti servizi adeguati, diritti, opportunità. Ma è anche un problema per tutta l’economia nazionale: un Mezzogiorno stagnante comprime il mercato domestico, a danno anche dell’economia del Centro Nord».

Un problema storico che si acuisce. Come nota il direttore generale, infatti, dopo decenni di interventi il gap del Pil pro capite tra il Centro Nord e il Sud è cresciuto e oggi il ritardo del Sud è maggiore rispetto agli Anni 70. Come intervenire dunque? «Puntare su un’unica strada sarebbe errato – dice Panetta -: gli interventi devono agire sia sull’offerta, rafforzando la competitività del settore produttivo e l’efficienza delle amministrazioni pubbliche, sia sulla domanda, sostenendo i redditi familiari. Assume centralità il rilancio degli investimenti pubblici, che può favorire la creazione di lavoro; ma poi occorre sostenere la dotazione tecnologica, la capacità innovativa, l’accumulazione di capitale fisico e umano».
Gli investimenti pubblici
Nel Mezzogiorno gli investimenti pubblici in rapporto alla popolazione sono risultati sistematicamente inferiori rispetto al Centro Nord. Tra il 2008 e il 2016 il calo degli investimenti al Sud è stato del 3,6 per cento all’anno; più debole e in maggiore flessione rispetto al resto del Paese è stata anche l’attività di progettazione di opere pubbliche».«Il potenziamento delle infrastrutture è essenziale per accrescere l’interconnessione con le altre regioni italiane, con l’Europa, con il Mediterraneo, per aumentare il potenziale di mercato del Mezzogiorno, rendendolo attraente per i capitali privati, l’attività di impresa, i flussi turistici. A tal fine è necessario un forte impegno pubblico da attuare tenendo conto, oltre che dei vincoli di bilancio, della sostenibilità ambientale e della sfida della digitalizzazione» dice Panetta.Secondo la Banca d’Italia, un incremento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari all’1 per cento del suo Pil per un decennio, ossia 4 miliardi annui, avrebbe effetti espansivi significativi per l’intera economia italiana. Al Sud il moltiplicatore degli investimenti pubblici potrebbe raggiungere un valore di circa 2 nel medio-lungo termine, beneficiando della complementarità tra capitale pubblico e privato e dei guadagni di produttività connessi con la maggiore dotazione di infrastrutture. L’economia del Centro Nord ne beneficerebbe per via della maggiore domanda nel Mezzogiorno e dell’integrazione commerciale e produttiva tra le due aree. Sebbene lo stimolo pubblico ipotizzato abbia dimensioni ridotte rispetto all’economia del Centro Nord, le simulazioni indicano che il Pil di quest’area potrebbe aumentare fino allo 0,3 per cento.

«Ma spendere soldi non basta – avverte Panetta - occorre spenderli bene. I risultati appena descritti non considerano i frequenti casi di sprechi e inefficienze, che comprimono il moltiplicatore della spesa. Per creare sviluppo, gli investimenti pubblici vanno adeguatamente selezionati, dotati delle risorse necessarie e completati in tempi brevi».

Tutto questo ovviamente richiede una maggiore efficienza da parte delle stesse amministrazioni meridionali. In Italia i tempi di realizzazione delle opere pubbliche sono lunghi ovunque, ma lo sono di più nel Mezzogiorno a causa di attività accessorie, quali iter autorizzativi e burocratici, di pertinenza delle Amministrazioni locali. Le opere incompiute, più numerose al Sud che al Centro Nord, riguardano in gran parte infrastrutture sociali – plessi scolastici, centri sportivi, strutture ospedaliere – di pertinenza degli Enti locali. Il fenomeno è di dimensioni rilevanti: dei 647 progetti che nel 2017 risultavano avviati e non completati, il 70 per cento è localizzato al Sud, per un valore totale di 2 miliardi. In più casi lo stallo è dovuto alla mancanza di fondi.

La domanda e l’offerta di lavoro
Nel Mezzogiorno la piaga della disoccupazione coinvolge 1.400.000 persone, il 18,4 per cento delle forze di lavoro; il divario rispetto al Centro Nord è ampio – 11 punti percentuali – e, rispetto al 2010, è aumentato. Ma il sottoutilizzo del lavoro affligge una platea ben più numerosa: al Sud vi sono 2 milioni di persone disponibili a entrare nel mercato a condizioni più favorevoli e 880.000 che vorrebbero poter lavorare più ore.

Questa situazione assume risvolti drammatici per i giovani. Tra quelli con meno di 35 anni il tasso di disoccupazione è del 33,8 per cento, 19 punti percentuali in più che al Centro Nord. Circa 1.700.000 giovani meridionali non lavorano né accumulano conoscenze (partecipando a un percorso scolastico o formativo): si tratta del 36,6 per cento del totale, un valore tra i più elevati d’Europa e persistente nel tempo, con effetti che condizionano negativamente l’intera vita lavorativa delle persone.

La bassa occupazione è una delle principali fonti di diseguaglianza tra i redditi familiari nel Mezzogiorno. Mentre al Nord gran parte dei nuclei familiari può contare sul reddito da lavoro di due o più componenti, al Sud prevalgono le famiglie con un solo occupato o senza alcun occupato stabile. A questa differenza è dovuta larga parte della maggiore diseguaglianza che si registra al Sud rispetto al Centro Nord, dove i valori sono allineati alla media europea. «La via maestra per sostenere l’occupazione – spiega Panetta - è una riduzione del costo del lavoro da attuare nel rispetto degli equilibri delle finanze pubbliche. È possibile prevedere duraturi sgravi fiscali e contributivi per le categorie di lavoratori deboli e marginalizzate, come giovani e donne, e per i salari bassi, diffusi al Sud».

Secondo le simulazioni della Banca d’Italia un taglio del cuneo fiscale al Sud pari all’1 per cento del suo Pil – una riduzione di circa 2 punti percentuali dell’aliquota fiscale e contributiva pagata dalle imprese – favorendo l’aumento della domanda di lavoro, avrebbe effetti espansivi sulle ore lavorate totali, pari all’1,4 per cento al picco; l’attività economica beneficerebbe, soprattutto nel medio termine, del rafforzamento dei consumi, dell’accumulazione di capitale, dell’accresciuta competitività. Il Pil del Mezzogiorno potrebbe aumentare fino all’1,2 per cento. «Le nostre stime – dice Panetta – indicano inoltre che un aumento degli investimenti pubblici accompagnato da misure volte a ridurre il costo del lavoro rafforzerebbe l’aumento dell’occupazione rispetto a quanto ottenibile agendo sui soli investimenti».

Il sostegno alla domanda di lavoro non è però sufficiente in un contesto in cui a causa dell’invecchiamento demografico la popolazione in età di lavoro è destinata a ridursi nel tempo, comprimendo il potenziale di crescita dell’economia. Occorre quindi incentivare la partecipazione al mercato del lavoro, bassa in Italia nel confronto internazionale ma ancor più al Sud, dove il tasso di partecipazione femminile sconta un ritardo rispetto al Centro Nord di ben 22 punti percentuali. Iniziative in tale direzione possono consistere nella riduzione della tassazione sul secondo percettore familiare e nel rafforzamento dell’offerta di servizi pubblici per l’infanzia.

Il finanziamento delle imprese
Un nodo da sciogliere per stimolare lo sviluppo del Mezzogiorno riguarda il finanziamento delle imprese. Le aziende meridionali sono altamente indebitate e dipendenti dal credito: la loro quota di prestiti bancari sul totale delle passività finanziarie è del 70 per cento, a fronte del 50 nel Centro Nord. Queste caratteristiche limitano la capacità di crescere, investire, creare occupazione. Per le imprese del Sud l’accesso al mercato creditizio è meno agevole che nelle altre aree del Paese: la quota delle aziende che dichiarano di non ottenere i finanziamenti richiesti sono più alti rispetto al Centro Nord. Anche il costo del credito è più elevato al Sud: il divario medio è di 1,6 punti percentuali, con valori più alti per le aziende minori.

Spiega Panetta: «Per favorire l’accesso ai finanziamenti esterni occorre ridurre il grado di rischio cui gli operatori devono far fronte quando investono nel Mezzogiorno. Ciò richiede l’impegno degli stessi imprenditori al fine di conferire trasparenza ai bilanci, di aprirsi al vaglio da parte di soggetti esterni. Va rafforzata la base patrimoniale, segnalando per questa via la fiducia dello stesso imprenditore nella solidità dell’azienda. Un impulso rilevante è stato fornito dagli incentivi fiscali all’aumento dei mezzi propri – la cosiddetta Ace. La legge di bilancio sul 2019 ha cambiato le modalità di incentivazione, legando i benefici agli utili non distribuiti. Il nuovo schema è meno vantaggioso per le imprese del Mezzogiorno, caratterizzate da bassa redditività. L’efficacia al Sud delle misure che legano il beneficio fiscale al rafforzamento del capitale di rischio potrebbe essere migliorata prevedendo maggiori vantaggi fiscali per le aziende più piccole.


 

FONTE LA STAMPA