San Ferdinando: la vergogna della tendopoli e il volto umano della solidarietà.
San Ferdinando, tra degrado e solidarietà: mentre la tendopoli continua a rappresentare un fallimento politico, associazioni come Il Cenacolo di Maropati offrono speranza nella Giornata dei Poveri voluta da Papa Francesco.
Nel cuore della Piana di Gioia Tauro, la tendopoli di San Ferdinando si erge come un simbolo di fallimento collettivo. Un luogo dove l'umanità sembra aver abbandonato le persone più vulnerabili, costringendole a vivere in condizioni inaccettabili. Eppure, proprio in questa giornata dedicata ai poveri, voluta da Papa Francesco, si accende una luce di speranza grazie al lavoro instancabile di alcune realtà che non si arrendono di fronte all’indifferenza.
La solidarietà del Cenacolo di Maropati e delle Misericordie
Tra le baracche e le tende che compongono questo inferno moderno, l'associazione Il Cenacolo di Maropati, in collaborazione con le Confraternite della Misericordia, ha portato un barlume di dignità. Guidati dal loro presidente Vincenzo Mercuri, noto come "Papà Africa", i volontari hanno distribuito cibo, indumenti e beni di prima necessità. «Il Signore ci ha messo in comunione per aiutare queste persone che vivono in condizioni disastrate», ha dichiarato Mercuri, sottolineando l'importanza di non voltarsi dall'altra parte.
Un gesto straordinario, che però non può essere la soluzione definitiva. Oggi, nella Giornata dei Poveri, ci chiediamo quanto tempo ancora debba passare prima che la politica si renda conto che i problemi di San Ferdinando non si risolvono con interventi sporadici e temporanei.
La tendopoli: una vergogna che si perpetua
San Ferdinando è sinonimo di precarietà, degrado e tragedia. Non possiamo dimenticare Becki Moses, la giovane migrante nigeriana di soli 26 anni, morta carbonizzata nel 2018 in un rogo scoppiato nella baraccopoli. Quante altre Becki Moses devono sacrificarsi prima che la politica locale e nazionale prenda sul serio il problema dell'accoglienza?
La tendopoli non è una soluzione, ma un ghetto, un luogo dove i diritti umani vengono messi in secondo piano. La Calabria, terra storicamente votata all'accoglienza, non può tollerare un tale modello di esclusione e abbandono.
Un’alternativa c’era: il modello Riace
In Calabria esiste un modello di accoglienza che ha funzionato, anche se è stato oggetto di critiche e strumentalizzazioni: il modello Riace. Sotto la guida dell’ex sindaco Mimmo Lucano, Riace ha dimostrato che l’integrazione non solo è possibile, ma può diventare una risorsa per i territori abbandonati. Eppure, invece di imparare da questo esempio, la politica si è concentrata su polemiche e processi, abbandonando al proprio destino i migranti e le comunità che avrebbero potuto beneficiare di un’accoglienza organizzata e umana.
Il cimitero dei migranti: un gesto simbolico e lungimirante
Non tutto è stato vano, però. L’amministrazione guidata da Giuseppe Falcomatà a Reggio Calabria ha avuto un momento di lungimiranza quando ha istituito il Cimitero dei Migranti ad Armo, un luogo dove riposano i corpi di chi ha perso la vita nel tentativo di cercare una vita migliore. Un gesto che, sebbene simbolico, ricorda a tutti noi l’urgenza di affrontare il fenomeno migratorio con umanità e rispetto.
La politica deve agire
Le associazioni come Il Cenacolo di Maropati e le Confraternite della Misericordia fanno la loro parte, ma non possono sostituirsi alle istituzioni. È ora che la politica locale e nazionale smetta di fare promesse vuote e agisca concretamente.
Non possiamo continuare a tollerare ghetti come San Ferdinando. Non possiamo accettare che i diritti umani vengano calpestati proprio nella terra che potrebbe essere un esempio di accoglienza. Il grido di aiuto di chi vive nella tendopoli è un appello a tutta l'Italia: non voltatevi dall’altra parte.
Oggi, nella Giornata dei Poveri, ricordiamo che la dignità umana non è un’opzione, ma un diritto. È tempo che lo Stato e la politica lo riconoscano.