Meloni:" Sì alla stretta sulla protezione speciale"
L'obiettivo dichiarato del governo, e ribadito anche da Addis Abeba, resta quello di "eliminarla".
Ma per il momento la maggioranza, con un accordo che sarà martedì alla prova dell'Aula del Senato, impone una nuova stretta alla protezione speciale, che già ha subito una secca sforbiciata con il cosiddetto decreto Cutro.
"Una vergogna", insorge il Pd. La premier in chiusura della sua missione in Etiopia, ci tiene a sottolineare che tra i partiti che sostengono il suo governo "non ci sono divergenze" sulla questione. Anzi. La volontà di "camminare insieme" c'è, ed è bene procedere così, perché "la pluralità è un arricchimento", taglia corto a chi le chiede delle ipotesi di partito unico su cui da ultimo ha detto la sua Guido Crosetto, dopo il fedelissimo Giovanbattista Fazzolari. "E che ha detto, con Fazzolari non si sa mai", scherza coi cronisti la premier, dopo due giorni di una visita che è stata "ottima", che ha rilanciato "il ruolo dell'Italia" nel Corno d'Africa, la cui stabilizzazione rimane "una priorità". Soprattutto per la gestione dei flussi dei migranti. Con Matteo Salvini, dice Meloni, non c'è stato un confronto "recente" sulla questione della protezione speciale, che pure ha tenuto appesi i lavori della commissione al Senato per diversi giorni. Ma ai suoi parlamentari non è piaciuta la corsa della Lega a rivendicare il ritorno ai "decreti Salvini", e più di qualcuno teme che ci possa essere qualche ulteriore incursione, che può fare traballare l'intesa. Anche perché i 21 emendamenti leghisti al decreto non sono ancora stati ritirati.
'Siamo fermamente contrari e continueremo a batterci affinché le politiche migratorie siano in linea con i diritti internazionali'. Meloni: 'L'obiettivo è eliminare la protezione speciale' (ANSA)
Per contro nella Lega si vuole valutare l'andamento dei lavori in commissione visto che le opposizioni annunciano le barricate perché, come dice la segretaria del Pd Elly Schlein, "è una vergogna abolire la protezione speciale". Se la partita vera, con ogni probabilità, si giocherà in Aula, dovrebbe poi essere ripresentato solo l'emendamento che recepisce l'intesa. Che stringe, ma non cancella la protezione speciale, anche se ferma la possibilità di trasformarlo in permesso di lavoro. Lo stesso vale per i permessi di soggiorno per calamità e cure mediche, che sono anche ridimensionati. E aggiunge, però, un nuovo caso di protezione, per evitare i rientri in patria per i matrimoni combinati e i fenomeni delle "spose-bambine". Una scelta "di buon senso", spiegano dalle file di Fdi, che rivendica comunque la scelta di limitare il ricorso alla protezione speciale, diventata nel tempo di fatto la principale via per ottenere un permesso (circa 10mila lo scorso anno, contro i circa 6mila rifugiati e gli altrettanti che hanno ottenuto la protezione sussidiaria". Cancellarla e rimettersi in linea con gli altri Paesi Ue, è la linea, rimane l'obiettivo. Per gradi, anche per evitare di entrare in rotta di collisione con il Colle, particolarmente attento agli interventi sulla gestione dell'immigrazione. Ovviamente il Quirinale segue con attenzione il laborioso iter del provvedimento e la portata delle restrizioni annunciate. Pare improbabile però un intervento diretto del presidente che dell'autonomia del Parlamento è rispettosissimo. Anche perché, e ciò è già stato valutato, non emergono al momento profili di incostituzionalità ne ci sono Trattati internazionali che lo vietano. Gli uffici del Colle analizzeranno quindi con grande attenzione il testo finale, anche alla luce dei "consigli" che il presidente Mattarella ha già dato al governo nei giorni scorsi. Ma pare difficile che, si osserva al Quirinale, il capo dello Stato si farà trascinare sul terreno dello scontro istituzionale su una materia la cui rilevanza costituzionale, appunto, è dubbia. Insomma pare evidente che il presidente voglia essere fedele ai suoi compiti istituzionali di controllo e garanzia, che certo non lo prevedono alla guida dell'opposizione, con il pieno rispetto degli altri organi dello Stato. E tra questi il Parlamento, la cui composizione è frutto di libere elezione, rimane sovrano.