Cosenza
Cosenza

Cosenza è una città che conosco da anni, che ho imparato a vivere nei suoi vicoli, nei suoi ritmi lenti, nei suoi scorci bellissimi e nelle sue contraddizioni brucianti. Eppure, c’è qualcosa che mi lascia inquieto, qualcosa che si ripresenta puntuale ogni volta che accade l’irreparabile: la memoria corta. Cortissima. Quasi assente. Una tragedia, un’inchiesta, un grido d’allarme… e poi il silenzio. Tutto si dimentica, tutto si archivia.

Negli anni, Cosenza ha vissuto episodi che avrebbero dovuto scuotere le coscienze, risvegliare l’opinione pubblica, spingere le istituzioni a reagire. Invece, a distanza di pochi giorni, tutto si smaterializza. Il dolore si fa sussurro, la rabbia si spegne, le domande restano senza risposta. È successo con omicidi riconducibili a dinamiche criminali. È successo con episodi inquietanti, come il presunto rapimento di una bambina in una clinica privata, mai chiarito davvero. È successo – e continua a succedere – con l’aumento preoccupante dei suicidi, specie tra i giovani. Una città intera sembra girarsi dall’altra parte.

Le inchieste che evaporano

Quante volte abbiamo letto titoli roboanti? “Maxi-inchiesta sulla sanità”, “Colpo alla criminalità organizzata”, “Scandalo nelle istituzioni”. Poi? Cos'è rimasto? Quali risultati concreti? Pochi. Pochissimi. E spesso nemmeno se ne parla più. Eppure le procure lavorano, le forze dell’ordine indagano, i giornalisti scavano. Ma la città sembra impermeabile, anestetizzata. Tutto viene consumato in fretta, come un post sui social. Un like, un commento indignato, poi il nulla.

Una città che dimentica tutto dopo 15 giorni

Cosenza dimentica in fretta. Troppo. In quindici giorni, anche i fatti più gravi si dissolvono nel flusso quotidiano. È un fatto culturale? psicologico? o, peggio, è il sintomo di un sistema malato in cui l’oblio è funzionale? Una città che dimentica è una città che si arrende. E l’oblio diventa il miglior alleato di chi ha interesse a mantenere lo status quo.

Suicidi e disagio: un grido soffocato

La crescita dei suicidi è un tema che dovrebbe mobilitare istituzioni, scuole, famiglie, media. Invece, anche qui, regna il silenzio. Pochi ne parlano, nessuno va a fondo. Il disagio mentale, la solitudine, la mancanza di prospettive non fanno notizia a lungo. Eppure sono macigni che schiacciano intere generazioni. A Cosenza come in tante altre città italiane.

Dimenticare è un problema solo di Cosenza? o di un’Italia intera?

Viene da chiederselo: è un problema nostro, della nostra città? o è un male più profondo, sistemico, nazionale? L’Italia è da sempre il Paese delle verità a metà, delle stragi senza colpevoli, dei misteri irrisolti. Forse Cosenza non è che un microcosmo di questo meccanismo: un pezzo d’Italia che riflette le sue stesse ombre. Ma ciò non può essere una giustificazione. Perché ogni comunità ha il dovere di ricordare, di pretendere giustizia, di non lasciar passare il tempo come se nulla fosse successo.

Il problema non è solo dimenticare. È accettare di dimenticare

La memoria è un atto di resistenza. È l’antidoto contro l’indifferenza, l’omertà, il disimpegno. Dimenticare è umano, ma accettare di dimenticare è colpevole. E se Cosenza vuole davvero rinascere – culturalmente, civilmente, moralmente – deve iniziare da qui: dalla capacità di tenere viva la memoria. Di non lasciare che i nomi, i volti, i fatti finiscano in un angolo polveroso del dimenticatoio collettivo.

Perché una città che dimentica è una città che si perde. E Cosenza, con tutta la sua bellezza, la sua storia e la sua gente, non può permetterselo.