La Calabria c’è, ma non si vede: perché i suoi prodotti restano nell’ombra?
Un paradosso che è stato evidenziato di recente anche da Oscar Farinetti, fondatore di Eataly

La Calabria è una terra ricca di eccellenze gastronomiche, eppure fatica a imporsi nel panorama nazionale e internazionale. Un paradosso che è stato evidenziato di recente anche da Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, durante la sua visita a Vibo Valentia per la presentazione del suo libro Hai Mangiato? Racconti per prendersi cura del genere umano, edito da Slow Food. Le sue parole sono state chiare: «La Calabria è una delle regioni del Sud con i prodotti migliori. È bravissima a farli, un po’ meno a raccontarli. Per esempio, l’olio calabrese è tra i più buoni d’Italia, eppure se ne parla troppo poco rispetto a quello pugliese o siciliano».
La fama dell'olio calabrese
Un’osservazione che impone una riflessione più profonda. La Calabria investe in promozione, partecipa a tutte le più importanti manifestazioni enogastronomiche, porta i suoi prodotti sui palcoscenici giusti. Eppure, il suo olio non ha la fama di quello pugliese, il suo vino non ha il prestigio di quello toscano, i suoi prodotti non riescono a entrare nell’immaginario collettivo come simboli assoluti di qualità. Se il problema non è la bontà del prodotto, allora è evidente che qualcosa non sta funzionando nel modo in cui questi vengono raccontati.
Il paniere calabrese nelle fiere nazionali
La presenza agli eventi è indiscutibile. Negli ultimi mesi, la Calabria ha partecipato al SIGEP di Rimini 2025, il più importante evento italiano dedicato alla gelateria, pasticceria, panificazione e caffè, portando il meglio della sua tradizione dolciaria. È stata protagonista a Golosaria 2024, rassegna che valorizza i piccoli produttori e le eccellenze gastronomiche italiane, e ha avuto un ruolo di rilievo al Vinitaly, la più grande fiera del vino in Italia, dove i vini calabresi stanno conquistando sempre più riconoscimenti, pur senza aver ancora raggiunto il prestigio delle etichette toscane e piemontesi. E non solo. Proprio per l’olio d’oliva, citato da Farinetti, la Calabria ha partecipato al Sol2Expo, il salone internazionale dedicato agli oli extravergine di qualità, un evento di riferimento per il settore che attira buyer e esperti da tutto il mondo. Non manca dunque la volontà di esserci, di far conoscere le proprie eccellenze, di affermarsi tra i grandi protagonisti del settore agroalimentare italiano. A questo punto, la domanda è inevitabile: se la Calabria investe, promuove e partecipa, allora cosa non funziona? Forse il problema sta nella narrazione. Il mercato enogastronomico moderno non si basa solo sulla qualità del prodotto, ma sulla capacità di creare un immaginario attorno ad esso. La Puglia ha saputo costruire un mito attorno al suo olio extravergine, posizionandolo come uno dei migliori in assoluto. La Sicilia ha reso il pistacchio di Bronte un prodotto di lusso riconosciuto in tutto il mondo. La Toscana ha fatto del suo Chianti un’icona globale. La Calabria ha prodotti straordinari, ma non ha ancora trovato la chiave per trasformarli in simboli riconoscibili e desiderabili su larga scala. Un racconto efficace non si costruisce solo attraverso la presenza agli eventi o le campagne pubblicitarie, ma con una strategia che sappia valorizzare l'identità, la storia e l’autenticità del prodotto. Un olio non è solo un olio: è il territorio da cui proviene, la cultura che lo ha reso unico, la passione di chi lo produce. Servono volti, storie, tradizioni da raccontare, e serve farlo con il linguaggio giusto per il mercato globale. Dove sono i grandi chef che promuovono i prodotti calabresi nei ristoranti di lusso? Dove sono le collaborazioni con brand internazionali che possano elevare il valore percepito di queste eccellenze? Dove sono le campagne narrative che rendano il made in Calabria immediatamente riconoscibile?
Raccontarsi in modo efficace
Oscar Farinetti ha sollevato una questione cruciale. La Calabria non ha bisogno di fare di più, ma di comunicare meglio. La qualità dei prodotti è fuori discussione, la presenza sul mercato c’è, gli investimenti in promozione non mancano. Ma manca ancora quella capacità di raccontarsi in modo efficace, di rendere i propri prodotti parte di un immaginario condiviso, di costruire attorno a essi un’identità forte e distintiva. Il rischio, altrimenti, è che il mondo continui a ignorare un patrimonio gastronomico che avrebbe tutto il potenziale per imporsi tra le eccellenze assolute dell’enogastronomia italiana.