Gusto ribelle

In un mondo dove tutto sembra avere un premio, anche il più sprovveduto osservatore non può che porsi una domanda: ma a che servono tutti questi riconoscimenti enogastronomici? Dal ristorante stellato che sfoggia più medaglie di un generale napoleonico, fino alla sagra di paese dove si distribuiscono premi per il miglior "salame casereccio con retrogusto di tartufo", sembra che ogni angolo del panorama culinario sia invaso da trofei e attestati.

La quantità supera la qualita

È un circo senza fine: chef e produttori che si accapigliano per aggiudicarsi un titolo da esibire come un trofeo di guerra, associazioni che spuntano come funghi per inventare nuovi premi (e nuovi criteri arbitrari), e giornalisti gastronomici che passano più tempo a compilare classifiche che a godersi un buon pasto. Tutto questo ci porta a una conclusione inevitabile: la quantità di premi sta pericolosamente superando quella della qualità.

Prendiamo, ad esempio, i ristoranti stellati. Un tempo le stelle Michelin erano un sigillo d’eccellenza; oggi, in certi casi, sembrano più che altro un esercizio di marketing. E non dimentichiamoci dei premi ai vini: ce n'è per tutti i gusti e tutte le etichette, dai grandi cru fino ai prosecchi del discount che magicamente diventano "rivelazione dell’anno". E poi, vogliamo parlare delle pizzerie? Se esistesse un premio per la miglior pizza con l’ananas, probabilmente qualcuno lo vincerebbe.

La fiera della vanità 

Il punto è che la proliferazione di premi e premietti ha trasformato quello che dovrebbe essere un riconoscimento di merito in una sorta di fiera della vanità. Cosa significa davvero vincere il premio per il "Miglior Amaro della Sagra della Porchetta" o il "Premio Speciale per l’Innovazione in Cucina"? Forse serve a gonfiare l’ego del vincitore e ad attirare qualche cliente curioso, ma è difficile credere che abbia un impatto concreto sulla qualità del prodotto o sull’esperienza del consumatore.
 

Il cliente soddisfatto, il miglior premio 

Certo, ci sono premi che mantengono una certa autorevolezza, ma sono sempre più soffocati dal rumore di fondo di riconoscimenti di dubbia utilità. E alla fine, chi ci perde è il consumatore, confuso da una giungla di etichette e certificazioni che rischiano di non significare nulla. Forse è il momento di fare un passo indietro e riflettere: meno premi, più sostanza. Invece di rincorrere l’ennesimo attestato, sarebbe bello vedere più impegno nella ricerca della qualità autentica, quella che non ha bisogno di medaglie per essere riconosciuta. E chissà, magari un giorno ci renderemo conto che il miglior premio è semplicemente un cliente soddisfatto che torna con un sorriso.