Ex prete di Belsito condannato per violenza sessuale, ma sui suoi profili social lui continua a condurre una vita normale
Siamo di fronte a un caso che merita attenzione. Non solo per il crimine commesso, ma anche per il suo sviluppo e per le risposte che non sono ancora arrivate

La vicenda di Anthonidoss Duraiswamy, sacerdote condannato per violenza sessuale, ha sollevato un'onda di domande che rimangono tutt'oggi senza risposta. Il caso, che ha coinvolto una donna ucraina di 32 anni, ha preso il via con l'accusa di aver subito aggressioni fisiche e sessuali da parte del prete, durante una visita professionale. La denuncia della donna ha messo in moto un processo che ha condotto Duraiswamy alla condanna a un anno di prigione, ma quello che è emerso nelle settimane successive è ancor più inquietante. Il sacerdote, attivo nelle comunità di Belsito e Malito, sembra essere sparito dai radar da mesi. Nonostante la condanna e l'intensificarsi delle indagini, Duraiswamy ha continuato a mantenere una presenza sui social, pubblicando regolarmente su Facebook. Questo comportamento solleva interrogativi: perché non si è avvalso del diritto di parlare o chiarire la sua posizione? E come mai, dopo una condanna, sembra non esserci alcuna azione legale visibile nei suoi confronti?
Ipotesi non chiarite
Molti si chiedono se le autorità locali siano davvero impegnate a fare luce su questa vicenda. Le domande sullo stato del sacerdote e sul suo trasferimento in India, dove si ipotizza possa trovarsi ora, non sono mai state sufficientemente chiarite. La sensazione diffusa è che il caso sia finito nell'oblio, un esempio emblematico di come le istituzioni possano fallire nel garantire giustizia.
Il profilo social
Ma le riflessioni non si fermano qui. La condotta di Duraiswamy sui social è un altro punto su cui riflettere. La sua apparente tranquillità nel continuare a postare contenuti e a mantenere una vita digitale attiva, mentre il suo caso giuridico resta sospeso, è un messaggio che non può essere ignorato. È come se stesse sfidando apertamente l'opinione pubblica e il sistema giudiziario, senza alcun timore delle possibili conseguenze. È importante che la comunità e le autorità si interroghino su cosa significa davvero giustizia in casi del genere. Come possiamo garantire che i più vulnerabili siano protetti e che i colpevoli, indipendentemente dal loro ruolo sociale o religioso, non sfuggano alla responsabilità delle loro azioni? I silenzi che circondano questo caso non sono solo una negligenza, ma una vera e propria riflessione sulla difficoltà di affrontare situazioni in cui la figura di autorità, come quella di un sacerdote, entra in conflitto con la giustizia e la moralità pubblica. Siamo di fronte a un caso che merita attenzione. Non solo per il crimine commesso, ma anche per il suo sviluppo e per le risposte che non sono ancora arrivate. La verità deve emergere, e la giustizia deve prevalere, affinché episodi come questo non possano più ripetersi in silenzio.