Foto dei morsi sul volto del piccolo Gabriele
Foto dei morsi sul volto del piccolo Gabriele

Un caso che ha scosso l'opinione pubblica nel dicembre del 2021 torna oggi, nel 2025, a far discutere. Si tratta della vicenda che vede protagonista Gabriele, un bambino aggredito in un asilo privato di Palmi, in Calabria. Le ferite sul suo volto, i segni di morsi e graffi e la denuncia dei genitori avevano acceso i riflettori su una gestione discutibile della struttura e sull'assenza di vigilanza. Tuttavia, a distanza di quattro anni, la giustizia sembra aver tradito le aspettative: il caso è stato derubricato per mancanza di prove, molte delle quali sono state misteriosamente cancellate o rese inutilizzabili, incluse le immagini di videosorveglianza. L'asilo incriminato è ancora operativo, sollevando gravi dubbi sull'efficacia delle istituzioni e sulla tutela dei minori.

La dinamica dei fatti

Era poco prima di Natale del 2021 quando Laura Bagalà, madre del piccolo Gabriele, pubblicò sui social le immagini scioccanti del volto del figlio, ferito e tumefatto. La donna si rivolse alla comunità chiedendo giustizia per ciò che era accaduto in un luogo che avrebbe dovuto essere sicuro per suo figlio. Le sue parole erano cariche di dolore e rabbia: “Dov’erano le maestre mentre lui gridava e chiedeva aiuto? Perché non siamo stati chiamati immediatamente? Perché non sono stati avvisati i soccorsi?”. Secondo le ricostruzioni, il bambino sarebbe stato aggredito da un coetaneo in seguito all’accorpamento di due classi, una del nido e una del micro-nido, decisione presa dalla direzione dell’asilo per motivi di gestione interna. La mancanza di sorveglianza ha permesso che un conflitto infantile degenerasse, provocando danni fisici significativi a Gabriele, giudicati guaribili in 15 giorni. L'accaduto, però, ha avuto conseguenze molto più profonde sul piano psicologico, sia per il bambino che per la sua famiglia.

L'assenza delle istituzioni

Uno degli aspetti più inquietanti di questa vicenda è la risposta delle istituzioni, o meglio la loro assenza. A fronte di denunce precise e documentate, le indagini sono state caratterizzate da ritardi e negligenze. Le immagini di videosorveglianza, che avrebbero potuto chiarire la dinamica dei fatti, sono risultate mancanti o cancellate, un fatto che lascia spazio a ipotesi preoccupanti su una possibile copertura. Nel frattempo, l'asilo incriminato non è mai stato chiuso. Anzi, continua a operare regolarmente, senza che siano state adottate misure significative per garantire la sicurezza dei bambini. Questo elemento è stato oggetto di forti critiche da parte dell'opinione pubblica e delle associazioni per la tutela dei minori, che hanno denunciato l'immobilismo delle autorità locali e nazionali.

La battaglia dei genitori

Laura Bagalà e il marito Giuseppe Sturniolo non si sono mai arresi. Sin dal principio, hanno cercato di ottenere giustizia per il loro figlio, affidandosi all’avvocato Daniele Calipa e chiedendo di costituirsi parte civile nel processo. Tuttavia, anche in sede giudiziaria, le difficoltà non sono mancate. La prima udienza, prevista per il 2022, fu rinviata a causa di un legittimo impedimento del giudice. “Nostro figlio è ancora scosso,” dichiarava la madre nel 2022. “Non auguro a nessuno di passare quello che noi stessi stiamo vivendo, tra indifferenza e giudizi sommari. La nostra rabbia è giustificata dai fatti, ma sembra che nessuno voglia realmente affrontare questa situazione con la serietà che merita.” Quattro anni dopo, quella rabbia è diventata amarezza. Le speranze di vedere i responsabili puniti si sono infrante contro un muro di burocrazia, inefficienza e negligenza. Il caso è stato derubricato per mancanza di prove, lasciando un senso di ingiustizia non solo nella famiglia Bagalà, ma anche nella comunità locale.

Le responsabilità istituzionali

Il ruolo delle istituzioni in questa vicenda è particolarmente controverso. Secondo la procura, le operatrici dell’asilo, tra cui Solidea Schipilliti, vice sindaco di Palmi con delega alle politiche per l’infanzia, avrebbero omesso di vigilare adeguatamente sui bambini. Il marito della Schipilliti, Letterio Galletta, titolare della struttura, risponde invece dell’accorpamento delle classi, che avrebbe messo in contatto bambini di età diverse, aumentando i rischi. Nonostante queste accuse iniziali, nessuna condanna è stata emessa e il caso è stato progressivamente sminuito fino alla sua archiviazione. La mancata chiusura dell’asilo è un segnale allarmante che evidenzia una mancanza di controlli e una scarsa considerazione per la sicurezza dei minori. Nonostante le denunce e l’eco mediatica del caso, le autorità non hanno adottato provvedimenti significativi, lasciando la struttura libera di operare come se nulla fosse accaduto. Questo atteggiamento ha suscitato indignazione e sconcerto, alimentando un clima di sfiducia verso le istituzioni.

La cancellazione delle prove: un nodo irrisolto

La sparizione delle immagini di videosorveglianza rappresenta uno degli aspetti più controversi del caso. Quelle registrazioni avrebbero potuto fornire una prova decisiva per stabilire le responsabilità e chiarire i dettagli dell’accaduto. La loro assenza, tuttavia, ha compromesso gravemente il processo, contribuendo alla derubricazione del caso. “Non possiamo accettare che prove di tale importanza siano semplicemente scomparse,” ha dichiarato l’avvocato Calipa. “Questo fatto getta un’ombra sull’intera gestione delle indagini e solleva dubbi legittimi sull’esistenza di pressioni o interferenze esterne.”

Un futuro incerto

Oggi, nel 2025, la famiglia Bagalà vive con il peso di una giustizia negata. Gabriele è cresciuto, ma le cicatrici emotive di quell’episodio sono ancora evidenti. La mancanza di risposte e la sensazione di essere stati abbandonati dalle istituzioni rendono ancora più difficile il percorso di guarigione. Il caso di Gabriele non è un’anomalia. Rappresenta piuttosto un esempio emblematico delle falle di un sistema che dovrebbe proteggere i più vulnerabili, ma che troppo spesso fallisce. La speranza è che questa vicenda serva almeno a sensibilizzare l’opinione pubblica e a spingere le istituzioni ad adottare misure più efficaci per garantire la sicurezza dei minori. Il caso di Gabriele è una ferita aperta nella comunità di Palmi e nell’intero Paese. La mancanza di prove, la cancellazione delle immagini di videosorveglianza e l’assenza di provvedimenti nei confronti dell’asilo coinvolto sono segnali di un sistema che ha fallito. La famiglia Bagalà continua a chiedere giustizia, non solo per il loro figlio, ma per tutti i bambini che meritano di crescere in un ambiente sicuro e protetto. Le istituzioni hanno il dovere morale e legale di rispondere a queste domande e di garantire che casi simili non si ripetano mai più. Fino a quel momento, la vicenda di Gabriele resterà un monito doloroso delle conseguenze dell’inerzia e dell’indifferenza.