No, non è una leggenda metropolitana. E no, non è nemmeno una di quelle denunce gonfiate per “fare rumore”. Qui si parla di feci. Di fogna. Di liquami veri che scorrono – come se nulla fosse – tra le campagne e i fossati, a due passi dalle abitazioni. E succede oggi, nel 2025, in Calabria, in un paese della provincia di Vibo Valentia che ha un nome antico e dolce: Filandari. Ma la dolcezza finisce qui. Perché quello che accade in questo comune non ha nulla di poetico: le fogne vengono scaricate a cielo aperto, senza alcuna vergogna, senza vergogna alcuna. Il risultato? Un fiumiciattolo nero, maleodorante, che si insinua nel terreno, tra le colture, negli alvei naturali, e poi finisce dove finiscono tutte le acque in Calabria: al mare.

La fogna come compagna di viaggio

In un contesto in cui la tutela ambientale dovrebbe essere una priorità, Filandari sembra invece tornata indietro di decenni. E non è un caso isolato. Ma qui la situazione è fin troppo evidente: canali a cielo aperto pieni di liquami organici, pozze stagnanti dove si moltiplicano insetti e batteri, odori pestilenziali che accompagnano la vita quotidiana di chi abita nelle zone più esposte. Chiunque abbia un minimo di coscienza ambientale sa bene cosa significa tutto questo: rischio biologico elevato, inquinamento delle falde acquifere, pericolo di infezioni intestinali, epatiti, salmonella, colibatteri fecali. Malattie che pensavamo fossero relegate a contesti di emergenza umanitaria. Invece no: possono nascere dietro casa. Nel nostro orto. Nella nostra acqua. Sul nostro piatto.

Dal fiume al mare: il viaggio dell'indifferenza

Quel fiume melmoso e tossico che attraversa il territorio non si ferma a Filandari. No. Scende, segue il suo corso naturale, si insinua nei canali agricoli, raggiunge le foci, e poi, senza trovare alcuna barriera, si getta nel Tirreno, dove bagnanti ignari si immergono d’estate. Dove pescatori gettano le reti. Dove l’ecosistema marino, già messo a dura prova dalla plastica e dai cambiamenti climatici, riceve anche questo: merda in purezza. Chi ha controllato? Chi ha autorizzato? Chi ha fatto finta di non vedere? La domanda è semplice. Ma la risposta è una sola: tutti lo sanno. Nessuno fa nulla.

Il vero veleno: l’abitudine

Il rischio peggiore non è l’infezione, per quanto grave. È l’assuefazione. È il giorno in cui la gente smette di indignarsi. In cui si accetta che il proprio paese puzzi, che i propri figli crescano tra zanzare infette e ruscelli di cloaca, che la natura venga stuprata e nessuno alzi la voce. È questo il veleno più potente: l’apatia. Perché in una terra che ha già pagato un conto salatissimo all’abbandono e alla disattenzione, lo scempio ambientale è il colpo finale. Il territorio muore nel fango. E con lui, muore la dignità. 

A voi l’ardua sentenza

Possiamo ancora fingere che sia “solo un problema tecnico”? Possiamo ancora credere che basti una pioggia per lavare via tutto? Oppure siamo pronti a dire che la Calabria non è una pattumiera, che i cittadini non devono vivere tra i rifiuti organici, che ogni litro di fogna dispersa è un atto criminale contro l’ambiente, contro la salute pubblica, contro il futuro? La soluzione non arriverà da chi ha lasciato che accadesse. Arriverà da chi, oggi, decide di denunciare, di pretendere, di informarsi. Perché Filandari è solo un nome. Ma dietro quel nome ci siamo tutti. E la melma, purtroppo, ci riguarda.