La riforma dei medici di famiglia continua a far discutere, dividendo il mondo sanitario tra chi la considera un passo necessario per migliorare l'efficienza del Sistema Sanitario Nazionale e chi la vede come una misura che rischia di compromettere il ruolo stesso della medicina di base.

Il progetto del Ministero della Salute, portato avanti dal Governo Meloni, mira a modernizzare il servizio di assistenza primaria, creando una rete integrata tra medici di base, ospedali e strutture territoriali, riducendo il carico sui pronto soccorso e migliorando la continuità delle cure per i pazienti, soprattutto per coloro affetti da malattie croniche.

Ma se da un lato molti professionisti e dirigenti ospedalieri accolgono positivamente l'idea di un modello più strutturato e funzionale, dall'altro i sindacati dei medici sollevano forti perplessità sulla possibilità di trasformare i medici di famiglia in dipendenti del SSN, temendo una perdita di autonomia e un favoreggiamento indiretto del settore sanitario privato.

 

L'obiettivo della riforma: medici sempre disponibili e più integrazione

Uno dei punti cardine del progetto è garantire una copertura sanitaria continua, con la presenza di medici disponibili h24, sette giorni su sette, anche nei piccoli comuni e nelle zone rurali. Questo dovrebbe avvenire attraverso il pieno utilizzo degli ambulatori pubblici e delle Case di Comunità, finanziate con fondi del Pnrr, il cui sviluppo, tuttavia, sta procedendo a rilento e risente della carenza di personale.

Un altro elemento di innovazione riguarda l’adozione di tecnologie avanzate, con l’introduzione di cartelle cliniche elettroniche interconnesse e piattaforme digitali per il monitoraggio a distanza dei pazienti. L’obiettivo è snellire le procedure burocratiche e migliorare l’accesso ai servizi sanitari, soprattutto per i pazienti più fragili e per coloro che vivono in aree meno servite.

In questo nuovo assetto, i medici di famiglia non saranno più solo prescrittori di cure, ma educatori e coordinatori della salute dei cittadini, promuovendo prevenzione e stili di vita sani, al fine di ridurre la necessità di cure ospedaliere.

 

Il nodo della dipendenza dal SSN: un cambiamento epocale

Il punto più controverso della riforma è la possibilità che i medici di base diventino dipendenti pubblici, anziché liberi professionisti convenzionati con il SSN. Questo cambiamento avrebbe implicazioni profonde, sia sul piano economico che su quello organizzativo.

Attualmente, i medici di medicina generale operano con un rapporto di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, mantenendo un certo grado di autonomia nella gestione del proprio ambulatorio. L'ipotesi di trasformarli in dipendenti statali è sostenuta da alcune Regioni, come Lazio e Veneto, che puntano a garantire un monte ore più elevato e una maggiore disponibilità per servizi essenziali come le vaccinazioni e la gestione delle Case di Comunità.

Tuttavia, Forza Italia, con il vicepremier Antonio Tajani, si oppone fermamente all’idea, ribadendo la necessità di preservare la libera professione. Anche molti medici vedono con scetticismo questo passaggio, temendo una riduzione della flessibilità lavorativa e un abbassamento dell’attrattività della professione.

Al contrario, il presidente della Commissione Salute del Senato, Francesco Zaffini (Fratelli d'Italia), sottolinea che il tema della dipendenza statale è una "vexata quaestio", poiché in tutta Europa, con l'eccezione di Italia e Regno Unito, i medici di famiglia sono dipendenti pubblici. Tuttavia, lo stesso Zaffini ammette che il passaggio alla dipendenza non è una soluzione immediata e richiede un’approfondita valutazione delle conseguenze.

 

Regioni e Governo: un confronto ancora aperto

Durante l’ultimo vertice a Palazzo Chigi, il dibattito è rimasto aperto, senza giungere a una decisione definitiva. Il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, ha sottolineato che nessuna posizione è stata ancora espressa sul tema della dipendenza, lasciando spazio a ulteriori discussioni.

Anche il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha confermato che la riforma va avanti, ma che sarà necessario trovare un equilibrio tra le richieste delle Regioni e le esigenze dei professionisti sanitari.

Al momento, il Governo sta valutando una soluzione intermedia: i nuovi medici di famiglia potrebbero essere assunti come dipendenti pubblici, mentre quelli già in servizio manterrebbero la loro attuale posizione convenzionata. Tuttavia, questa proposta è ancora in discussione e deve essere accolta sia dalle Regioni che dalle associazioni di categoria.

 

I nodi da sciogliere restano molti, soprattutto sul tema della dipendenza dal SSN e sulle modalità di attuazione delle Case di Comunità.

Sebbene l’idea di un sistema più organizzato e digitalizzato sia accolta positivamente da alcuni settori della sanità, permangono forti resistenze da parte di chi teme una burocratizzazione eccessiva, una perdita di autonomia professionale e un rallentamento delle cure per i pazienti.

Nei prossimi mesi, il Governo e le Regioni dovranno trovare un compromesso per attuare una riforma che possa effettivamente migliorare l’assistenza sanitaria senza penalizzare i medici di base, affinché il cambiamento porti benefici concreti sia per i professionisti del settore che per i cittadini italiani.