I giovani non escono più: il lockdown che permane tra i ragazzi
Rinchiusi nelle quattro mura delle proprie camerette: per quanto il lockdown ormai è lontano dalle nostre vite, sembra permanere all’interno della quotidianità dei ragazzi.
I giovani non escono più: è questo quello che si evince da uno studio dell’Università di Siena, la quale, analizzando l’andamento delle abitudini giovanili a seguito della pandemia, ha riscontrato un rallentamento nella ripresa dei ritmi che caratterizzavano l’era pre-Covid.
Secondo questi dati, il 40% dei giovani italiani esce molto meno: questo quanto rivelato da un questionario compilato da ragazzi che spaziano dai 13 ai 19 anni. Discorso simile per ciò che riguarda lo sport, essenziale in questa fase di crescita, sembra esser stato sostituito da altre attività individuali, che non comportano un grande utilizzo di energia.
Lo spopolamento dei locali è compensato, infatti, da un sovrappopolamento sui social, ambiente in cui sembrerebbe che questi ragazzi si siano rifugiati per poter creare un mondo tutto loro, fatto di protagonisti e spettatori. I luoghi esterni diventano ormai solo un palcoscenico in cui recitano una scena riprodotta all’interno di un cellulare.
“Il secondo lockdown, dovuto alla zona rossa in Calabria, è stato distruttivo, così come l’isolamento dopo essere risultata positiva” testimonia A., una ragazza di 16 anni, che per tutela terremo anonima “cercavo continuamente di tenermi occupata, inizialmente mi davano conforto i social, ma dopo un po' ho avuto la necessità di disinstallare TikTok e Instagram dal cellulare perché mi mettevano troppa ansia addosso – continua la ragazza – a volte ho bisogno di dissociarmi, allontanarmi dalla realtà e rinchiudermi in una vita che riesco a vedere solo nei film, ma che sembra che non potrò vivere mai. Persino il pensiero di andare in giro senza mascherina o entrare in un posto chiuso molto affollato mi da un senso di panico, come se il distacco che ho avuto con le altre persone mi tenesse al sicuro”.
Locali vuoti, strade deserte già dopo le 21, non si ha più voglia di festeggiare nulla, ormai sorridono quasi forzatamente senza più voglia di ribellarsi ad una società che li ha piegati ai propri voleri. Azzittiti dalla responsabilità sulla vita dei più grandi, che ignorano il lento logoramento di questi ragazzi.
Un riavvicinamento alla vita che spaventa gli adolescenti e che, allo stesso tempo, ha causato un’incidenza di disturbi psicologici importante. Sono stati il “capro espiatorio” di una pandemia che non aveva colpevoli, frenando il naturale impulso di voler scoprire il mondo, di voler cercare il divertimento, puntando il dito su una naturale necessità: quella di voler prendere la vita a morsi.
Ed ora li osserviamo passivi e impotenti fissare uno schermo nero in cerca di uno stimolo che non hanno più, ad indagare sulle sorti di un futuro sempre più incerto.