Strage di via Popilia
Strage di via Popilia

La svolta nel caso di Massimo Speranza costituisce un punto cruciale su quella che venne definita la strage di via Popilia. Dopo 24 anni da quella sparizione improvvisa, si continua a far luce su una vicenda che costituì un capitolo drammatico e inquietante della storia cosentina. Nella mattinata di oggi, la DIA di Catanzaro ha disposto cinque arresti per altrettanti soggetti, coinvolti in quello scenario sanguinoso che macchiò, in maniera indelebile, la città dei Bruzi.

La strage di via Popilia

Era l’estate del 2001 quando i rapporti tra gli “zingari” e “gli italiani” si incrinarono inesorabilmente. L’arteria malfamata cosentina, nota piazza di spaccio dell’epoca, per mantenere gli equilibri venne così divisa: agli italiani spettava il mercato della cocaina, mentre agli zingari, quello dell’eroina. A sancire la rottura fu Franco Bevilacqua, quando nel pieno pomeriggio del 9 novembre 2001 seminò il panico a colpi di kalashnikov sparando Benito Aldo Chiodo, e coinvolgendo una seconda persona, Francesco Tucci, completamente estraneo agli eventi. Un uomo che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Franco Bevilacqua, conosciuto come Franchino i Mafarda, colpirà anche Mario Trinni, il quale ne uscirà miracolosamente illeso. Sarà lo stesso Bevilacqua a confessare, successivamente, quanto avvenne quel giorno, 18 anni dopo, stilando una lista di indagati che diverranno, poi, imputati. «Abbiamo fatto tutto il parco Robinson fino all’ultimo lotto e alla prima palazzina vedendo dove si trovava Chiodo abbiamo fatto il giro dell’edificio per prenderlo davanti». Dichiarò Franco Bevilacqua dinnanzi al pm di turno Camillo Falvo. Insieme a Mafarda c’erano Fiore Abbruzzese, Gianfranco Iannuzzi e Luigi Berlingieri «Lo abbiamo preso di sorpresa, abbiamo iniziato a sparare, ma le armi si sono inceppate perché abbiamo messo i caricatori sbagliati – continua –. Tucci e Chiodo li abbiamo uccisi, Mario Trinni ci è scappato. Ho sparato all’impazzata in aria per fare in modo che non si affacciasse nessuno e nessuno vedesse la macchina, infatti, dalle prime ricostruzioni tutti dicevano di aver visto una Golf e uno scooter». Ma la cocaina continuerà a mietere altre vittime, coinvolgendo anche Giuseppe Giugliano, estraneo alle cosche degli italiani e degli zingari, a capo di una cosca autonoma, il quale operava in un negozio gestito da egli stesso a piazza Valdesi, come punto di spaccio. La cocaina, invece, veniva nascosta nel giardino dell’abitazione della famiglia Le Piane. Era il 20 febbraio 2001 quando Giugliano viene freddato a colpi di pistola. Anche Eugenio Ameruso, coinvolto nella cosca autonoma, figurerà come nuova vittima della furia omicida, rimanendo ucciso a Potame.

Franco Bevilacqua parla

Sarà il pentimento di Franco Bevilacqua a sciogliere i nodi di quello che succedeva – realmente – lungo l’asfalto di via Popilia. Le divisioni dei mercati, le piazze di spaccio, le diatribe tra “zingari” e “italiani”. Ma soprattutto, i nomi. Il vero obbiettivo di Mafarda era solo ed esclusivamente Chiodo. Come dichiarò di fronte il pm, “l’italiano” non aveva corrisposto agli “zingari” il profitto di un’estorsione nei confronti delle imprese appaltatrici aggiudicatarie della linea di ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria. L’uccisione di Tucci, così come il ferimento di Trinni, erano stati solo degli “errori di percorso”. Bisogna considerare come, in quel frangente, gli zingari volevano orchestrare una vera e propria “consorteria”, ostacolata dalla presenza dei clan italiani i quali detenevano le principali attività illecite della zona, oltre che il possesso delle armi. Durante la sua dichiarazione, Bevilacqua svelerà dettagli inquietanti, come la preparazione di una futura strage, che si sarebbe dovuta compiere nel Natale del 2000. Il pentimento di Bevilacqua porterà alla sparizione di tre suoi sodali: Gianfranco Iannuzzi, “a ‘ntacca” (aprile 2001), Sestino Bevilacqua (novembre 2002) e Antonio Benincasa, “Vallanzasca” (maggio 2004). Successivamente, verrà freddato a colpi di pistola anche Carmine Pezzulli, che gestiva la contabilità degli “italiani”.

Il periodo di pace prima della guerra

Qualche anno di quiete, culminati con una vera e propria “tempesta” il 4 ottobre 2006 con l’omicidio di Angelo Cerminara su ordine di Domenico Cicero. Il motivo dell’uccisione fu il fatto di non aver aver spartito con la cosca i proventi di una truffa. Cicero – inoltre – all’evidenza dei fatti di ciò che avvenne con Mafarda, temeva un suo possibile pentimento. Tra le pagine più drammatiche di quella sanguinosa strage, fu l’omicidio di Liberata martire, nel gennaio del 2007. Un giallo a cui, ancora ad oggi, mancano risposte. Furono più killer a scaricare una pioggia di proiettili verso la casa della donna, intenta a preparare serenamente il caffè dentro casa. La donna venne colpita ad una spalla. Ogni tentativo di soccorso si rivelò inutile. La donna morì. Vero obbiettivo di quel raid terroristico era il figlio, Luca Bevilacqua, per aver avuto un diverbio (presumibilmente) con i fratelli Mario a causa di un “cavallo di ritorno”. Secondo quanto emerse, sarebbe stata la stessa madre dei Mario ad organizzare l’omicidio. All’interno della casa erano presenti anche altre persone, tra cui una donna in attesa, la quale, fortunatamente, rimase illesa.

L’ascesa della famiglia Bruni 

A prendere il sopravvento fu l’ascesa del figlio di Francesco Bruni, Michele, che morì a causa di una malattia nel 2012. Il fratello, Luca, sparirà misteriosamente qualche anno dopo.

La svolta nel caso di Speranza dopo 24 anni dall’omicidio 

Massimo Speranza, noto come ‘il Brasiliano’, nato nel 1980, è scomparso l'11 settembre 2001 senza lasciare tracce. Nonostante risiedesse nella “zona degli zingari” a via Popilia, Speranza era considerato vicino al clan rivale degli "italiani" e sospettato di aver rivelato informazioni riservate sul gruppo rom. Il giovane Speranza sarebbe stato attirato in una trappola con il pretesto di testare una partita di droga di elevata qualità. Verrà poi ucciso a colpi di pistola a San Demetrio Corone. Nella giornata di oggi, la Dia di Catanzaro ha emesso cinque misure cautelari ad altrettanti soggetti, considerati coinvolti negli eventi. La strage di via Popilia costituisce una tra le pagine più drammatiche per la città di Cosenza. Fu lungo il muro di compianto tra vittime innocenti e uomini coinvolti e affiliati nelle cosche. Fu necessario il coinvolgimento dei pentiti che hanno dato luce a quella che era una macchia complessa e sanguinosa, che operava in quegli anni in maniera spietata e sanguinosa. Un capitolo buio nel libro di una città che, oggi, tenta di riprendere la dignità di una comunità civile, lontana dal respiro malfamato che via Popilia respirava.