Tre anni di reclusione chiesti per l'ex procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla
L'accusa è di falso e corruzione impropria. Chieste anche altre quattro pene. Tra queste anche il maresciallo Greco.

Tre anni di reclusione. E' questa la condanna che il tribunale di Salerno ha richiesto nei confronti dell’ex procuratore di Castrovillari, Eugenio Facciolla, con l’accusa di falso e corruzione impropria. Nel mirino anche il maresciallo Carmine Greco, ex comandante della Stazione di Cava di Melis dei carabinieri forestali e per Vito Tignatelli, operante nella questura di Cosenza e gestore di fatto della società di intercettazione Stm. Indagati anche la moglie del poliziotto, Marisa Aquino, titolare (su carta) della società, ed Alessandro Nota, carabiniere in servizio a Cava di Melis. Nomi che in questo momento sono sotto mano del tribunale di Salerno per i procedimenti a carico di magistrati del capoluogo calabrese. I reati contestati all’ex procuratore Facciolla sono quelli di corruzione e falso. Le ipotesi ruotano intorno a presunti illeciti nell’affidamento alla Stm del noleggio di apparecchiature per intercettazione.
L’accusa di corruzione
Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, il procuratore Facciolla avrebbe «affidato il noleggio di apparecchiature nell’ambito di attività di intercettazione alla “Stm srl”, formalmente intestata a Marisa Aquino e di fatto amministrata da Vito Tignanelli, con il quale il magistrato intratteneva relazioni personali risalenti a circa venti anni addietro». Affidamenti che avrebbero procurato alla società di intercettazioni un «ingiusto vantaggio patrimoniale in violazione dell’obbligo di imparzialità gravante su ogni pubblico ufficiale». Inoltre Facciolla, a fronte degli incarichi ricevuti dalla Procura di Castrovillari, avrebbe ricevuto dalla “Stm” una sim card e avuto a disposizione un sistema di videosorveglianza sotto la propria abitazione.
Il falso
Due sono le ipotesi di falso contestate, che riguardano principalmente i rapporti tra la 'ndrangheta e Greco. La prima riguarda l’arresto di Antonio Spadafora, imprenditore boschivo di San Giovanni in Fiore coinvolto nell’operazione “Stige”. Facciola e il maresciallo Greco avrebbero redatto un documento falso manipolando una data (31 dicembre 2017) in cui Greco non era in servizio, concordando un’annotazione nella quale fossero descritte attività informative che lo stesso greco aveva acquisito «mesi prima nel corso di interlocuzioni con Antonio Spadafora». I file, inoltre, risultavano essere generati il 15 dicembre 2018 e modificati l’ultima volta il 19 febbraio 2018. La seconda riguarderebbe alcune attività compiute da Greco, un primo incontro datato 20 ottobre 2017 nella Stazione di Cava di Melis con Antonio e Rosario Spadafora. Quest’ultimo risultava essere anche lui imputato nel processo Stige. Informazione che risulterebbe essere falsa sembrerebbe anche l’informazione telefonica «ricevuta il 3 novembre 2017 da Antonio Spadafora circa un controllo eseguito dai carabinieri in località Russi, laddove la telefonata risultava essere stata fatta in realtà da Rosario Spadafora».
I dubbi emersero nei confronti dell’allora procuratore del Pollino da parte di Nicola Gratteri, all’epoca alla guida della Procura di Catanzaro, che spinsero all’invio della documentazione del caso al Tribunale di Salerno, operanti nelle indagini a carico dei magistrati del distretto dei due poli calabresi. Quello fu l’avvento del temporale giudiziario che aprì un processo, ormai agli sgoccioli, che fece registrare all’ex procuratore di Castrovillari ripetute modifiche in campo dì imputazione, “alleggerendo” i capi di imputazione a corruzione impropria, suggerito dai pm in fase requisitoria.