Don Anthonidoss Duraiswamy
Don Anthonidoss Duraiswamy

Un anno di reclusione: è questa la condanna inflitta a don Anthonidoss Duraiswamy, sacerdote indiano di 55 anni, residente a Santo Stefano di Rogliano e per lungo tempo impegnato nelle parrocchie di Belsito e Malito, nel Cosentino. La sentenza, pesantissima dal punto di vista morale e sociale, riguarda la violenza sessuale ai danni di una donna ucraina di 32 anni che si era rivolta a lui in un momento di grande vulnerabilità personale.

Una condanna che scuote le comunità locali

La vicenda ha inevitabilmente sconvolto le comunità di Belsito, Malito e Santo Stefano di Rogliano, dove il sacerdote aveva prestato servizio per diversi anni. Don Duraiswamy, ordinato sacerdote proprio nella diocesi di Cosenza, aveva acquisito negli anni una certa notorietà locale per il suo modo di fare diretto e talvolta conflittuale, ma – assicurano molti fedeli – «sempre entro limiti normali per un sacerdote che difende il giusto nelle sue comunità».

Eppure, la sentenza di condanna mette in discussione proprio questa presunta normalità, imponendo una riflessione seria e approfondita sulle reali condotte del sacerdote.

Sparizione improvvisa: che fine ha fatto don Anthonidoss?

Da oltre quattro mesi, infatti, di don Duraiswamy non si hanno più notizie certe. Alcuni sostengono che sia rientrato in India, suo paese di origine, altri invece che sia stato semplicemente trasferito altrove dalla Curia, lontano dai riflettori e soprattutto dalla comunità che fino a poco tempo fa lo aveva accolto con fiducia e rispetto.

Il silenzio prolungato delle istituzioni ecclesiali locali appare problematico: perché nessuno ha fornito chiarimenti ufficiali sulla sorte del prete dopo la sentenza? Un religioso condannato per violenza sessuale può essere davvero semplicemente trasferito altrove senza alcuna chiarezza?

Critiche alla Chiesa locale: serviva più chiarezza

Questa vicenda pone inevitabilmente domande scomode anche alla diocesi locale: come è possibile che una figura condannata per violenza sessuale abbia continuato a operare indisturbata per mesi, prima della sentenza definitiva? È normale lasciare comunità fragili e persone in difficoltà a contatto con una persona sulla quale gravavano accuse così gravi?

La critica è forte ma necessaria: la Chiesa locale avrebbe dovuto garantire una maggiore tutela e trasparenza verso fedeli e cittadini, evitando che don Anthonidoss continuasse a esercitare il suo ruolo spirituale in presenza di persone già vulnerabili.

La Chiesa dia risposte, non silenzi

In conclusione, pur riconoscendo che i rapporti conflittuali tra un prete e i suoi fedeli possano essere comuni, non è assolutamente normale né accettabile che un sacerdote, condannato per un reato odioso come la violenza sessuale, possa semplicemente sparire nel nulla o essere trasferito altrove senza dare risposte precise alla comunità.

Serve chiarezza immediata da parte della Chiesa, per rispetto delle vittime, dei fedeli e dell’intera comunità, che ora più che mai si sente tradita e confusa da troppi silenzi.