Per chi giunge in Calabria da nord, percorrendo la Statale 18 o viaggiando in treno, il primo impatto è il maestoso paesaggio del Tirreno: montagne che si tuffano ripide nel mare e una costa alta e luminosa che si estende per 150 chilometri, dal golfo di Policastro fino a Capo Vaticano. Ma ciò che un tempo era un panorama incontaminato oggi è stato profondamente alterato. Lungo il litorale, tra Praia a Mare, Scalea, Diamante e Santa Maria del Cedro, si susseguono marine affollate, villette standardizzate, alberghi e villaggi turistici, trasformando la cosiddetta "Riviera dei Cedri" in una striscia continua di cemento.

I cedri sempre più difficili da trovare

Il nome, evocativo e suggestivo, sembra però tradire la realtà. I cedri, simbolo della zona, sono sempre più difficili da trovare, soffocati dal caos delle costruzioni e dalle spiagge congestionate. Eppure, salendo poco oltre questa colata di cemento, si scopre che qualcosa della vecchia campagna è sopravvissuto. Tra muretti a secco e fiumare, in una terra un tempo ricca di ulivi, agrumeti e vigneti, rimangono sparsi borghi e villaggi rurali, spesso spopolati e segnati dagli incendi che continuano a devastare il territorio.

Nonostante tutto, la coltivazione del cedro resiste. In aree come Diamante, Buonvicino e Santa Maria del Cedro, piccole cedriere rappresentano il cuore pulsante di una tradizione millenaria che lega questa terra alla cultura ebraica. È qui, infatti, che si coltiva il “Citrus Medica”, il frutto rituale che gli ebrei ortodossi utilizzano durante la festa di Sukkoth. La coltivazione di questo agrume ha radici profonde, che risalgono all’arrivo degli ebrei in Calabria nei primi secoli dell’era cristiana. Nonostante la diaspora e la definitiva espulsione della comunità ebraica nel 1541, i contadini calabresi hanno continuato a curare questa pianta con un rispetto quasi sacro.

Le origini del cedro in Calabria

Il cedro, si dice, arrivò nel Mediterraneo dall’India ai tempi di Alessandro Magno. Ma proprio in Calabria trovò un habitat ideale, grazie a un clima mite, terreni terrazzati e abbondanza d’acqua. La varietà locale, conosciuta come “Cedro Diamante”, è particolarmente apprezzata dalle comunità ebraiche per la sua purezza e le sue caratteristiche estetiche, che lo rendono adatto ai rigorosi requisiti della tradizione religiosa.

La coltivazione del cedro è un lavoro meticoloso e impegnativo. Ci vogliono quattro anni di potature e cure per portare le piante a fruttificare, e ogni albero produce al massimo 80 frutti l’anno. Durante l’inverno, le piante devono essere protette dal freddo, e tutto il lavoro viene svolto a mano, in un processo che richiede dedizione e precisione. Ogni estate, rabbini ortodossi provenienti da ogni parte del mondo arrivano sulla Riviera dei Cedri per selezionare personalmente i frutti destinati alla festa di Sukkoth. Il loro lavoro è scrupoloso: ispezionano ogni pianta e ogni frutto con attenzione, alla ricerca di esemplari perfetti, che rispecchino i precetti religiosi.

Il cedro, il mix perfetto tra contadini e rabbini

Questa insolita interazione tra contadini locali e rabbini ha dato vita a un legame culturale e commerciale unico. Negli ultimi decenni, la riscoperta del cedro calabrese da parte delle comunità ebraiche ha stimolato una piccola economia sostenibile, in contrasto con il turismo di massa e la globalizzazione aggressiva.

Dopo la raccolta, i cedri selezionati vengono spediti in tutto il mondo, dove diventeranno protagonisti delle celebrazioni religiose. Ma mentre questi piccoli frutti attraversano continenti, la costa calabrese resta segnata dal cemento e dal traffico incessante. Il cedro, simbolo di una tradizione antica e di un legame profondo con la terra, rimane una testimonianza viva di ciò che la modernità rischia di cancellare.