Giuseppe Calabrò
Giuseppe Calabrò

Il Corriere della Sera, in un articolo di Cesare Giuzzi, lo descrive come “l’uomo che ha in mano il mondo”, un personaggio enigmatico, dall’aspetto sobrio e quasi anonimo: “vestiti da pensionato benestante, tono su tono, di marca ma mai pacchiani”. Potrebbe sembrare un ex direttore di banca o un medico di campagna, ma dietro questa figura si cela, secondo le carte giudiziarie, uno dei nomi più potenti della ‘Ndrangheta.

Classe 1950, originario di San Luca, Giuseppe Calabrò, soprannominato “Dutturicchiu”, è stato intervistato a Como dal giornalista Klaus Davi, citato esplicitamente nelle carte dell’inchiesta “Altre Curve”. Calabrò è imputato, insieme ad altri, nel processo legato al rapimento e alla tragica morte di Cristina Mazzotti avvenuta nell'estate del 1975. In questa occasione, accompagnato dal noto avvocato Piermassimo Marrapodi, il presunto boss ha risposto con tono fermo ma cordiale alle domande del giornalista, smontando accuse e voci che lo circondano.

Il dialogo con Klaus Davi

Davi: Come è andata finora? Ha partecipato a tutte le udienze del processo?

Calabrò: Come tutti gli altri processi. Certo, sono presente, perché devo difendermi. Non è questione di costanza, quando si tratta della tua vita sei obbligato. Io sono uno che ascolta e interviene quando può, ma ora non posso intervenire.

Davi: Arriva addirittura da Bovalino fin qui?

Calabrò: Sì, faccio le mie ragioni e ascolto quelle degli altri.

Davi: Ovviamente si proclama innocente…

Calabrò: Ma questa è una cosa da ridere. Non andava neanche fatto il processo.

Le intercettazioni e la scalata di Mimmo Vottari

Davi: Lei risulta coinvolto nelle intercettazioni relative alle curve e alla scalata di Mimmo. Mimmo è vostro cugino?

Calabrò: No, Mimmo non è mio cugino, è solo un parente. Ma, come sempre, mi mettono in mezzo dappertutto.

Davi: Le descrivono come il grande capo di San Luca. Come risponde?

Calabrò: No, io non sono il capo di niente. Sono come il prezzemolo, buono per tutte le stagioni.

Davi: Le intercettazioni parlano della scalata di Lucci. Lei ha mai avuto a che fare con Senese?

Calabrò: Io non so nemmeno chi sia Senese. Non l’ho mai incontrato.

Davi: E l’attentato a Mimmo al bar?

Calabrò: Non so nulla nemmeno di quella storia.

Calcio e curve: un’accusa infondata?

Davi: Sulle curve, però, ci sono intercettazioni. Lei cosa risponde?

Calabrò: Io non sono mai andato allo stadio, non sono tifoso di nessuna squadra. Figurarsi se mi interessano le curve. Io sono un pensionato, un contadino.

Davi: Ma in questo momento è vestito con grande cura.

Calabrò: È solo speculazione. Le storie su di me sono ingigantite.

La questione delle ordinanze e il diritto all’oblio

Davi: Lei ha letto le ordinanze che la riguardano?

Calabrò: No, non le ho lette. Non mi interessano. Preferisco l’oblio, il diritto all’oblio.

Davi: Quindi non si riconosce in quelle accuse?

Calabrò: Assolutamente no.

Davi: Dove sta andando ora? A Milano?

Calabrò: Sì, sono con l’avvocato. Ma se non lo trovo, rischio di rimanere a piedi.

La critica alla giustizia italiana

Alla fine dell’intervista, Klaus Davi invita Giuseppe Calabrò a esprimere una critica verso lo Stato italiano e la giustizia. La risposta, seppur velata, è un chiaro riferimento alla lentezza del sistema e all'incapacità di affrontare efficacemente la criminalità organizzata.

Davi: Perché, secondo lei, lo Stato non riesce a intervenire con efficacia? Possibile che non si riesca ad arginare il fenomeno della criminalità organizzata da Nord a Sud?

Calabrò: Non so cosa dire. Lo Stato forse è impegnato in altro. Ma la giustizia, se arriverà, farà il suo corso.

Davi: Noi, intanto, raccontiamo, informiamo e aspettiamo.

Conclusione

Quella di Giuseppe Calabrò è una figura che, da anni, oscilla tra leggenda e realtà giudiziaria. Descritto come un uomo silenzioso e sfuggente, il "Dutturicchiu" appare agli occhi dei media come un personaggio enigmatico, difficile da collocare.