Gusto ribelle: peperoncino cinese per calabresi, il piccante che viene da lontano!
Il paradosso della Calabria: la terra del peperoncino lo acquista dalla Cina, dall'Egitto e dalla Turchia. Perché?
Gusto ribelle: il piccante che viene da lontano!
La Calabria, terra madre del celebre peperoncino, rappresenta una delle regioni italiane più rilevanti nella produzione di questa spezia, contribuendo con circa il 25% del totale nazionale. Nel 2023, la superficie coltivata a peperoncino in Calabria si attestava tra i 70 e gli 80 ettari, un dato significativo che conferma il ruolo cruciale di questa regione nel panorama agricolo italiano. È importante notare che non esistono dati ufficiali precisi sulla produzione di peperoncino in Calabria. Le stime variano e sono spesso fornite da associazioni di settore o consorzi di produttori. Ma quello che ci sembra opportuno sottolineare è che dietro questi numeri si cela un paradosso emblematico della globalizzazione.
Nonostante la qualità eccelsa del peperoncino calabrese, caratterizzato da processi produttivi rigorosi e alti standard qualitativi, gran parte di esso non finisce sulle tavole locali. Invece, viene esportato in mercati internazionali, come gli Stati Uniti e i Paesi Bassi, dove trova una clientela disposta a pagare per la sua autenticità e superiorità. Nel frattempo, i consumatori calabresi, paradossalmente, acquistano peperoncino proveniente dalla Cina, dall'Egitto e dalla Turchia attraverso la grande distribuzione.
Una questione di costi
Questa dinamica è alimentata da una questione di costi. La produzione del peperoncino italiano è un processo artigianale e rispettoso della qualità: servono 10 chili di peperoncino fresco per ottenere un chilo di prodotto essiccato e macinato, commercializzato a circa 15 euro. Al contrario, il peperoncino importato dalla Cina costa solo 3 euro al chilo. Questo prezzo ridotto è il risultato di pratiche produttive discutibili, dove l'intera pianta viene triturata, spesso senza rispettare standard fitosanitari adeguati. Tutto ciò danneggia non solo i produttori locali, che faticano a competere con i prezzi stracciati del prodotto importato, ma anche i consumatori, i quali si ritrovano a utilizzare un prodotto di qualità inferiore, spesso inconsapevoli della sua origine e delle sue caratteristiche.
Il peperoncino che arriva… da Pechino
Il paradosso del peperoncino calabrese è emblematico di come la globalizzazione possa influire negativamente sulle economie locali: mentre i calabresi raccontano con orgoglio di essere i "signori del piccante", attorno a una tavola imbandita, non si rendono conto che quel peperoncino rosso fuoco che spargono generosamente sulla pasta arriva da Pechino più che da Diamante.
Un paradosso degno di una commedia all'italiana: esportiamo il meglio del nostro peperoncino ai gourmet americani e olandesi, e ci consoliamo con una spezia che ha fatto il giro del mondo in container. La situazione, però, non è irreversibile. Investimenti nella ricerca agricola e il rilancio di una filiera tutelata possono offrire soluzioni concrete. La promozione di marchi di qualità come l'IGP (Indicazione Geografica Protetta), accompagnata da campagne di sensibilizzazione per educare i consumatori sulla tracciabilità del prodotto, potrebbe invertire la tendenza.
Che il peperoncino nostrano torni sulle nostre tavole
Parallelamente, rafforzare il legame tra produzione e consumo locale può rappresentare un passo importante per garantire che il peperoncino calabrese ritorni sulle tavole dei calabresi. Eventi come il Peperoncino Festival di Diamante sono già un esempio virtuoso di come valorizzare e celebrare questa eccellenza territoriale. In definitiva, il peperoncino calabrese è molto più di una semplice spezia: è un simbolo della cultura, della tradizione e della resilienza di una regione. La sfida per il futuro sarà quella di preservarne l'identità, garantendo che il suo valore venga riconosciuto sia a livello locale che globale.