“Ho portato mio padre in pronto soccorso e dopo di che non ho più avuto sue notizie”. Questa è la segnalazione di Luca, nome di fantasia per tutelare la privacy della vittima, che ha disperatamente cercato suo padre per ore all’Annunziata di Cosenza.

La disavventura di padre e figlio cosentini è iniziata a seguito di una caduta che avrebbe causato la rottura del femore del genitore novantenne e, per questo, trasportato al pronto soccorso dal 118.

“I pazienti del pronto soccorso – ci racconta Luca - per essere visitati devono attendere l’esito del tampone creando una fila immensa che aumentava ancora di più l’attesa. L’arrivo al pronto soccorso è avvenuto intorno alle 14.30, prima del quale, mi era stato raccomandato, tra l’altro, di portare coperte, cuscini e materiale utile a riscaldare mio padre, poiché non ne avevano a disposizione.
Dopo otto ore senza aver ricevuto un’immediata assistenza, a seguito del tampone negativo, mio padre è stato posto su una barella nel corridoio del pronto soccorso. Verso le 23.00 un’infermiera mi ha consigliato di tornare il giorno dopo, perché l’attesa sarebbe stata ancora lunga”.

Luca così ha fatto, fiducioso, dopo tutta quell’attesa, di un intervento da parte dei medici. Non avrebbe mai pensato che quello sarebbe stato l’inizio della disperata ricerca di suo padre.

“Quando sono tornato alle 15.00, non avendolo trovato sulla sua barella, li dove lo avevo lasciato, ho chiesto dove fosse stato trasferito, ma nessuno lo sapeva. Questo perché nessuno aveva dato comunicazioni di un eventuale trasferimento, ma in reparto non c’era traccia di lui. Ovviamente questo mi ha messo in una condizione di totale impotenza, non avendo modo di contattarlo direttamente.”

La situazione disperata, che si era andata a creare per la dispersione dell’anziano, ha spinto Luca a cercare da solo il padre all’interno dell’ospedale: “Ho cercato in tutti i modi di entrare all’interno della struttura sanitaria. E’ stato grazie alle informazioni raccolte da alcuni amici e da una figura del personale che mi ha aiutato nella ricerca, resosi conto della mia situazione disperata, che sono riuscito ad accedere nel reparto di Ortopedia, dove ho dedotto fosse stato trasferito.”

Pur riuscendo ad entrare in reparto, il figlio non ha risolto il problema: “Una volta arrivato, ho avuto uno scontro verbale con una delle infermiere, che mi ha ricordato che lì non ci potevo stare. I toni si sono accesi e sono dovuto ricorrere alle minacce, visto che, in quel momento, mio padre poteva essere ovunque.”

Arrivato in Ortopedia, Luca ha avuto la conferma che il padre fosse stato ricoverato in quel reparto. Ciò nonostante, nessuno del personale sapeva dargli informazioni sugli eventuali accertamenti effettuati fino a quel momento. “La risposta di una delle infermiere – continua Luca - è stata che solo la caposala, di solito, si occupa di informare i parenti sulle comunicazioni dei degenti ma attualmente nessuno ancora mi ha telefonato”. Finora, infatti, Luca non ha ancora notizie sulle condizioni del padre, ancora in cura nel reparto di Ortopedia.

“La mia protesta è nei confronti di chi gestisce la sanità in Calabria – conclude la sua denuncia Luca - che non consente ai lavoratori di svolgere il proprio mestiere nelle condizioni opportune. Se il personale sanitario fosse numericamente adeguato, riuscirebbe a gestire sia i pazienti Covid che tutti gli altri ed episodi come quello accaduto a me e a mio padre non si verificherebbero. “

La storia di Luca e di suo padre è solo una delle tante che purtroppo si registrano quasi quotidianamente all’ospedale di Cosenza. E’ indubbio come il personale sanitario, già carente nell’organico, faccia i salti mortali per portare avanti il lavoro quotidiano e cercare di dare assistenza a tutti i pazienti ma, episodi come questo, lasciano un senso di paura in chi si trova ad affidarsi alla sanità pubblica.