Calabria sotto effetto: i borghi che si consumano nella polvere
La cocaina come collante tossico di un sistema marcio. Dalla Sila al Tirreno, nei piccoli borghi calabresi si sniffa più di quanto si parli

Non c’è bisogno di andare nei capoluoghi, nelle periferie degradate o nei quartieri malfamati. Basta passeggiare nei vicoli di un qualsiasi borgo calabrese, da quelli arroccati tra i monti a quelli affacciati sul mare. La cocaina è ovunque. È diventata presenza quotidiana, abitudine, sottofondo costante della vita sociale. Non si deve più scavare per trovarla. È lì, sulla superficie delle cose. La vedi nei comportamenti, nei discorsi, negli sguardi sfuggenti. Non è più il vizio nascosto di pochi. È la normalità tossica di tanti.
Una terra che si sgretola, sniffata via a colpi di complicità
Quello che un tempo era lo scandalo, oggi è prassi. Si sniffa prima di andare a lavorare, per affrontare la giornata. Si sniffa prima di uscire la sera, per reggere il passo. Si sniffa per restare svegli, per sembrare forti, per fingere di essere vivi. Nei piccoli paesi calabresi, dove un tempo il senso di comunità era la spina dorsale dell’identità, oggi domina l’individualismo frenetico, alimentato da una polvere bianca che annulla il pensiero, spegne la coscienza, devasta i legami.
I dati delle forze dell’ordine parlano chiaro: sequestri in aumento, indagini che coinvolgono insospettabili, e un mercato in espansione che penetra in ogni angolo del territorio. Ma dietro le cifre si nasconde una realtà ancora più agghiacciante: il narcotraffico non è più un’ombra ai margini della legalità. È un sistema economico parallelo. Tiene in piedi interi settori. Ricicla, controlla, investe. E tutti, in un modo o nell’altro, ci girano intorno.
Borghi svuotati, anime sfinite
I piccoli centri, già piegati dallo spopolamento, dalla mancanza di lavoro e da un futuro negato, si sono trasformati in palcoscenici silenziosi della resa. Non c’è più movida, ma consumo. Non c’è più comunità, ma scena. Giovani con lo sguardo spento e il naso rosso. Padri di famiglia che si isolano. Donne, ragazzi, professionisti: la cocaina non ha più volto. Ha solo funzione. Serve a stare in piedi, a dimenticare, a sembrare qualcuno.
“Qui la droga non si combatte, si ignora” racconta un operatore del Sert di Vibo Valentia, dove negli ultimi mesi si è registrato un aumento esponenziale di accessi per abuso di cocaina, in particolare nella fascia 20-40 anni. “I pazienti arrivano tardi, quando il danno è già fatto. Nessuno vuole vedere, perché ammettere che è un problema significherebbe ammettere che abbiamo fallito come società.”
Politiche assenti, comunità in coma
E la politica? Sparita. Le istituzioni? Mute. Nessun piano di prevenzione serio, nessuna strategia culturale. Solo parole svuotate, bandi sporadici, passerelle. Nessun investimento in cultura, sport, aggregazione. Nessuna visione. Si rincorre il problema a emergenza già esplosa, mentre le scuole restano senza educatori e le piazze diventano mercati della polvere.
I sindaci tacciono. I consiglieri fanno finta di non vedere. Le famiglie si chiudono nel silenzio. E intanto la cocaina continua a scorrere come un fiume maledetto, riplasmando l’economia, svuotando il pensiero critico, ridefinendo i valori. Il successo non si conquista: si compra. L’apparenza vale più del contenuto. L’onnipotenza vale più dell’empatia. È la fine della politica come progetto collettivo. È l’alba del dominio tossico dell’indifferenza.
Una domanda che brucia: vogliamo davvero salvarci?
Il punto di rottura è stato superato da un pezzo. La cocaina è il sintomo e il motore di un collasso culturale profondo. Non è solo droga: è il simbolo di una Calabria che ha smesso di credere in sé stessa, che ha rinunciato a costruire e ha scelto di consumarsi. Ora resta una sola domanda, semplice, brutale:
I nostri borghi hanno ancora voglia di salvarsi o hanno già scelto di lasciarsi andare?
Perché continuare a tacere, a tollerare, a normalizzare, non è più una posizione neutra. È una scelta politica. È un assenso silenzioso al declino. E se non iniziamo a dirlo forte, a prenderci responsabilità vere, allora sarà troppo tardi. Anzi, forse lo è già.