La Cassazione conferma: intercettazioni inutilizzabili nel caso Lucano
La Suprema Corte sancisce l'inutilizzabilità delle intercettazioni e conferma l'innocenza del sindaco di Riace per la maggior parte delle accuse

La Corte di Cassazione ha definitivamente stabilito che le intercettazioni disposte nell'ambito dell'inchiesta contro Mimmo Lucano, sindaco di Riace, erano prive dei presupposti necessari e, pertanto, non utilizzabili come prove. Anche considerando tali intercettazioni, i dialoghi registrati hanno evidenziato l'assenza di colpevolezza di Lucano e degli altri imputati, come già determinato dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria. A scriverlo in anteprima è il quotidiano nazionale Il Dubbio.
Dissolti tutti i dubbi su Lucano
Questo verdetto dissolve ogni dubbio sul fatto che l'europarlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra e primo cittadino di Riace sia stato assolto per un mero "cavillo" giuridico. Nelle motivazioni della sentenza emessa il 12 febbraio 2025, che conclude un percorso giudiziario durato sette anni, emerge che l'ipotetico reato iniziale era la truffa aggravata ai danni dello Stato, che non consente l'uso di intercettazioni. Tuttavia, durante il processo, l'accusa ha riconfigurato l'imputazione in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, reato che invece permette l'utilizzo di intercettazioni, portando in primo grado a una condanna a 13 anni e due mesi.
Secondo le direttive del Ministero dell'Interno, i fondi ricevuti dal Comune di Riace per l'accoglienza non erano sovvenzioni pubbliche, ma pagamenti per servizi resi nell'ambito di un rapporto contrattuale tra il Comune e le associazioni. Pertanto, le somme destinate a queste ultime erano corrispettivi per un servizio, non finanziamenti pubblici diretti, escludendo la possibilità di disporre intercettazioni, che erano il principale elemento probatorio dell'accusa. Inoltre, le intercettazioni, sottoposte a rigorosa verifica dalla Corte d'Appello, non hanno evidenziato alcuna colpevolezza né frode nell'accoglienza a Riace. Lucano ha agito senza alcun fine di profitto, con un intento solidaristico indiscutibile, perseguendo la propria visione di accoglienza.
Già nella richiesta di autorizzazione, il pubblico ministero aveva fatto riferimento al "regime convenzionale intercorrente tra il Comune e le associazioni" come elemento fondamentale per la qualificazione giuridica. Ciò indica che i fatti erano noti e correttamente descritti sin dall'inizio. Tuttavia, durante l'udienza del 29 marzo 2021, il pm ha modificato l'accusa in truffa aggravata, ignorando la sentenza Cavallo e applicando retroattivamente la riforma Bonafede.
“Narrazione falsa” su Lucano
In sintesi, la narrazione falsa su Riace non proveniva da Lucano, ma dai suoi detrattori. La sentenza d'appello aveva già escluso l'associazione a delinquere finalizzata a ottenere illecitamente fondi pubblici attraverso la gestione dell'accoglienza dei migranti, riconosciuta invece dal Tribunale di Locri. Per i giudici d'appello, non esisteva una struttura organizzata con finalità criminali, ma solo una gestione disordinata del sistema di accoglienza; non erano provati accordi illeciti tra gli imputati per commettere reati e Lucano non aveva tratto vantaggi economici personali, escludendo anche il peculato. Su questo punto, anche l'accusa ha infine desistito.
L'unica condanna confermata riguarda un episodio di falso ideologico in atto pubblico relativo alla determina n. 57 del 2017, concernente una rendicontazione irregolare per evitare che il Comune perdesse fondi già spesi. Tuttavia, la finalità solidaristica di Lucano ha portato all'applicazione della pena minima, un anno e sei mesi con sospensione condizionale.
Nessun abuso da parte del sindaco di Riace
Le motivazioni confermano che non vi fu alcun abuso di potere da parte di Lucano, rendendo inapplicabile la legge Severino, che prevede la decadenza in caso di reati contro la pubblica amministrazione come corruzione, concussione e abuso d'ufficio. Il falso ideologico in atto pubblico, per il quale Lucano è stato condannato, non rientra automaticamente tra i reati che determinano l'incandidabilità immediata. Tuttavia, il Ministero dell'Interno ha richiesto la sua decadenza, un ultimo tentativo di allontanarlo da Riace, contro il quale Lucano ha già promesso battaglia.