Biomasse in Calabria: il lato oscuro della "green energy"
Dietro la facciata della "green energy", emergono criticità che sollevano interrogativi sulla reale sostenibilità di questi impianti e sui rischi ambientali connessi.

Negli ultimi anni, la Calabria ha puntato sugli impianti a biomassa come soluzione per la produzione di energia rinnovabile, sfruttando il suo vasto patrimonio boschivo di circa 600.000 ettari. In teoria, queste strutture offrono diversi vantaggi: riduzione delle emissioni di gas serra, gestione efficiente dei rifiuti organici e produzione di energia da fonti rinnovabili. Tuttavia, dietro la facciata della "green energy", emergono criticità che sollevano interrogativi sulla reale sostenibilità di questi impianti e sui rischi ambientali connessi.
Biomassa del Mercure
Uno dei casi più controversi è quello della centrale a biomassa del Mercure, situata nel Parco Nazionale del Pollino. Questo impianto, tra i più grandi d'Italia, è stato al centro di numerose polemiche per presunti legami con attività illecite e per il suo impatto ambientale. La sua localizzazione in un'area protetta ha sollevato forti obiezioni da parte di ambientalisti e residenti, che hanno denunciato i potenziali danni alla biodiversità e all'ecosistema circostante. Legambiente ha sottolineato l’incompatibilità della centrale con le normative ambientali che tutelano il Parco del Pollino. Nel 2015, l'autorizzazione all'esercizio dell'impianto è stata concessa in deroga alle normative di tutela dell’area protetta e contro il parere dell’Ente Parco, sollevando forti dubbi sulla trasparenza del processo decisionale. La gestione di questi impianti solleva anche interrogativi sulla destinazione dei fondi pubblici e sulla mancanza di una strategia chiara per un effettivo sviluppo sostenibile della regione.
Sebbene le biomasse siano spesso presentate come un'alternativa pulita ai combustibili fossili, il loro impatto ambientale non può essere ignorato. La combustione della biomassa può generare inquinanti atmosferici come particolato fine, ossidi di azoto e composti organici volatili, con conseguenze negative sulla qualità dell'aria e sulla salute umana. In Calabria, l'assenza di una gestione adeguata dei processi di combustione e delle emissioni potrebbe trasformare gli impianti a biomassa da soluzione "verde" a nuova fonte di inquinamento. Inoltre, la crescente domanda di biomassa potrebbe incentivare il disboscamento intensivo, compromettendo la sostenibilità del settore e minacciando l'equilibrio ambientale. Un’altra questione cruciale è la scarsa trasparenza nella filiera di approvvigionamento della biomassa: spesso il legname utilizzato proviene da abbattimenti indiscriminati, aumentando il rischio di deforestazione illegale e degradazione degli ecosistemi locali.
In risposta alle criticità emerse, la Regione Calabria ha recentemente introdotto misure restrittive per limitare l'impatto degli impianti a biomassa. Dal 27 novembre 2024, è vietata la realizzazione di nuovi impianti di produzione energetica alimentati da biomassa con potenza superiore a 10 MW termici all’interno dei parchi nazionali e regionali del territorio calabrese. Questa decisione rappresenta un tentativo di bilanciare lo sviluppo delle energie rinnovabili con la necessità di proteggere le risorse naturali e le comunità locali. Nonostante ciò, resta il problema della gestione degli impianti esistenti e della trasparenza nelle concessioni. La mancanza di controlli adeguati e di una pianificazione a lungo termine lascia spazio a speculazioni economiche, in cui pochi soggetti beneficiano di incentivi e contributi pubblici mentre le comunità locali subiscono i danni ambientali e sanitari.
L'alternativa sostenibile
Se il settore delle biomasse vuole realmente rappresentare un’alternativa sostenibile, è fondamentale adottare criteri più stringenti per garantire un impatto ambientale minimo e un uso responsabile delle risorse naturali. La Calabria ha il potenziale per essere un modello di transizione ecologica, ma per farlo deve assicurarsi che la "green energy" non diventi solo una copertura per nuove forme di speculazione e degrado ambientale. Servono regole più chiare, controlli stringenti e un coinvolgimento attivo delle comunità locali nella gestione del territorio.