Nella crudele morsa della guerra, c’è chi patisce più degli altri la violenza del potere: le donne. I fatti accaduti a Bucha rimangono ancora non prettamente confermati dai media occidentali, ciò che è certo, però, è che in quei drammatici giorni c’è chi è rimasto vittima di una violenza forse ancora più traumatica della morte: lo stupro.

Venticinque donne dai 16 ai 25 anni sono state tenute prigioniere nello scantinato di una casa e sistematicamente violentate, una ad una, dai soldati russi. A confermare ciò è il difensore civico ucraino per i diritti umani, Lyudmyla Denisova, e Sima Sami Bahous, direttrice delle Nazioni Unite per le donne, la quale ha parlato al Consiglio di Sicurezza. Inoltre, secondo l’organizzazione umanitaria “La Strada Ukraine” sono state ricevute nove chiamate per denunce di stupri e varie segnalazioni via Telegram che accusavano i militari di Mosca.

L’elemento più sconcertante, però, è ciò che testimoniano i corpi di queste donne: nove di queste, infatti, sono rimaste incinte a seguito degli abusi subiti.

Un’arma da guerra letale per le menti di queste giovani donne, profondamente traumatizzate dall’orrore che sono costrette a vivere, non solo per l'invasione in sè, ma anche per l'oggettificazione che le rende strumenti da sottomettere, per dare prontezza al "nemico" di guerra del predominio dell'uomo sulla "donna-oggetto", un pensiero fortemente inculcata nella "logica" bellica. Le parole delle vittime, che hanno avuto il coraggio di raccontare, sono state raccolta dalla BCC, in un lungo e drammatico reportage. Tra le deposizioni raccolte, ne emergono due in particolare:

"Una donna di 25 anni ci ha chiamato per dirci che sua sorella di 16 è stata violentata nella strada di fronte alla loro abitazione. Ha detto che urlavano che ciò sarebbe successo a tutte le prostitute naziste".

Ed ancora, il terrore nella voce di Anna, nome di fantasia, di 50 anni, residente in un tranquillo quartiere rurale a 70 km a ovest di Kiev, la quale, il 7 marzo era in casa con il marito quando un soldato straniero ha fatto irruzione: "Sotto la minaccia delle armi, mi ha portato in una casa vicina. Mi ha ordinato: 'Togliti i vestiti o ti sparo.' Continuava a minacciare di uccidermi se non avessi fatto come aveva detto. Poi ha iniziato a violentarmi", ha detto.

Anna ha descritto il suo aggressore come un giovane, magro combattente ceceno alleato con la Russia.

"Mentre mi violentava, sono entrati altri quattro soldati. Pensavo di essere finita. Ma l'hanno portato via. Non l'ho mai più visto", ha detto. Crede di essere stata salvata da un'unità separata di soldati russi."

Anna scappò, quindi, verso casa, dove trovò suo marito. Gli avevano sparato all'addome.

"Aveva cercato di correre dietro di me per salvarmi, ma è stato colpito da un colpo di proiettili", ha detto. Entrambi hanno cercato rifugio nella casa di un vicino. Non potevano portare suo marito in ospedale a causa dei combattimenti. Morì per le ferite riportate due giorni dopo.

I reporter, che hanno intervistato Anna, la descrivono come profondamente sconvolta, ed alternava le parole della sua storia a disperati singhiozzi. Ha mostrato dove lei e i suoi vicini hanno seppellito suo marito nel cortile della loro casa. Un'alta croce di legno si trova in cima alla tomba. La vittima ha riferito, inoltre, di essere in contatto con l'ospedale locale e di star ricevendo supporto psicologico.

La crudeltà impressa nei racconti di queste donne rimarcano la disumanità e la bestialità degli eventi che caratterizzano la guerra, che plasmano la mente di questi uomini indirizzandoli alla brutalità, alla distruzione della civiltà, dei diritti umani, della dignità.