Come sia stato possibile che nell'ambito dello stesso Paese possano coesistere due sistemi sanitari come quello lombardo e quello calabrese, agli antipodi e praticamente lontani anni - luce è un mistero. Come sia stato possibile all'interno di un Paese dove, teoricamente e costituzionalmente, tutti i cittadini dovrebbero avere la stessa tutela del bene più prezioso, quello della salute, determinare tali discriminazioni fra i cittadini calabresi ed i cittadini della Lombardia, in termini di tutela e cura per la propria salute. Il dramma di un tale divario enormemente cresciuto negli anni oggi esplode in tutta la sua virulenza con la progressione del contagio del Covid-19. Una frase ricorrente di esperti sanitari e scienziati in questi tumultuosi giorni di preoccupazione ed angoscia è quella "speriamo che al sud non si duplichi quanto sta avvenendo al Nord perché con la sanità che si ritrovano sarebbe una vera disgrazia". E', quindi, riconosciuto da tutti come la sanità al Sud sia una rovina e di come, al Nord, sia, invece in grado di fronteggiare i momenti più difficili. Purtroppo il Coronavirus non è come gli uomini, non conosce confini, non si pone discriminanti o barriere. Ma fra le sanità delle regioni del Sud il caso più eclatante, quella più fatiscente, più debole, più massacrata è quella della Calabria. Un fenomeno, quello della distruzione sistematica della sanità, che è il frutto di anni ed anni di dissennata gestione, di mazzette, di tangenti, di affari, di interessi per gli amici e gli amici degli amici. Le cronache giudiziarie raccontano di scandali, ruberie, appalti, tangenti ed omicidi che hanno caratterizzato anche il mondo della sanità sin dai lontanissimi anni '70. Chi può dimenticare le ambitissime poltrone di Presidente delle numerose U.S.L. con le quali si era suddiviso il territorio calabrese. Erano le poltrone più ambite per i big delle componenti della vecchia Dc e del vecchio Psi. Tutti coloro i quali riuscivano ad ottenere quelle poltrone riuscivano anche, attraverso appalti pilotati, assunzioni clientelari e tutto il marciume e le schifezze possibili, poi a candidarsi ed essere eletti alla Camera, al Senato o alla Regione. Era il più formidabile trampolino di lancio della politica, in Calabria da sempre corrotta e basata sul voto di scambio. Chi dimentica l'omicidio di Francesco Fortugno nel 2004, vicepresidente del Consiglio Regionale, maturato nell'ambito del mondo oscuro della sanità. Un "sistema" quello calabrese basato sulla corruzione endemica, sulla corruzione quale modello vincente per giungere al potere, al rispetto, al ruolo sociale di comando. Metodo che ha consentito personaggi di umili origini negli anni '70 di scalare le classi sociali e di assurgere a ceto dominante, per come più volte scrisse il noto sociologo Pino Arlacchi, nelle sue analisi sulle classi sociali in Calabria e sulla scalata al potere della mafia collusa con la politica. Ed una delle armi per tale scalata è stata senz'altro la gestione della sanità, dei cospicui fondi per la stessa dirottati in azioni mirate solo alla crescita del potere economico e politico. Altro che tutela del bene della salute. Ma questo "sistema" che domina in Calabria da mezzo secolo non è stato mai realmente combattuto. Tutti, o quasi, ne hanno tratto vantaggio. Chi lo ha combattuto è stato emarginato e posto in condizione di non nuocere. Oggi la sanità calabrese è il frutto di questo "sistema" che ancora oggi impera sovrano. Un "sistema" che anche i calabresi hanno foraggiato votando sempre una classe politica di predatori e sciacalli che finanche sulla pelle e sulla salute dei calabresi ha costruito le proprie fortune. Oggi è troppo tardi per piangere lacrime da coccodrillo. Siamo tutti colpevoli. Speriamo che, passato il dramma del coronavirus, i calabresi possano cambiare e non dimenticare quanto male è stato fatto e quanto male ci siamo fatti accettando un "sistema" che non può più essere supinamente accettato.


Gianfranco Bonofiglio