Sant'Onofrio Reggio Calabria
Francesco Fortuna

La decisione di Fortuna di collaborare con la giustizia è emersa durante l’udienza del processo d’appello per l’omicidio di Domenico Belsito, tenutasi presso la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro. Fortuna, già condannato a 30 anni per altri delitti, rappresenta il secondo membro di spicco della consorteria criminale a intraprendere il percorso di pentito, dopo Onofrio Barbieri, avvenuto circa un anno fa.

Un killer con un passato di sangue

Francesco Fortuna è stato uno dei principali esecutori della cosca Bonavota, un’organizzazione criminale radicata nel territorio di Sant'Onofrio e nella zona industriale di Maierato, ma con influenze che si estendono anche in Liguria e Piemonte. Già condannato per diversi omicidi, Fortuna ha svolto un ruolo di primo piano nelle attività del clan, gestendo omicidi su commissione e altre operazioni legate al controllo del territorio.

Tra i casi più rilevanti che lo vedono coinvolto c’è l’omicidio di Domenico Belsito, avvenuto il 21 marzo a Pizzo. In questo delitto, Fortuna avrebbe agito in concorso con altri affiliati, tra cui Domenico e Pasquale Bonavota e Andrea Mantella, ex boss di Vibo Valentia e ora collaboratore di giustizia. Fortuna è stato condannato in primo grado a 30 anni di reclusione per questo crimine e attualmente è sotto processo d’appello.

La decisione di collaborare: una svolta nel processo
Durante l’udienza per l’omicidio Belsito, Fortuna ha revocato i suoi avvocati difensori, Salvatore Staiano e Sergio Rotundo, sostituendoli con Antonia Nicolini, legale esperta in casi di collaboratori di giustizia. Questa mossa ha confermato ufficialmente la sua volontà di collaborare con lo Stato, segnando una svolta significativa nel panorama criminale calabrese.

Il pentimento di Fortuna si inserisce in un contesto di crescente pressione sui clan della ‘ndrangheta, già colpiti negli ultimi anni da numerosi arresti e collaborazioni eccellenti. La sua testimonianza potrebbe fornire dettagli cruciali sulle dinamiche interne della cosca Bonavota, sulle sue ramificazioni in altre regioni d’Italia e sulle sue attività principali, che includono omicidi, estorsioni e traffico di droga.
Francesco Fortuna è stato protagonista di un iter giudiziario lungo e complesso. Tra le accuse più gravi a suo carico c’è quella per l’omicidio di Domenico Di Leo, avvenuto a Sant'Onofrio il 12 luglio 2004. Dopo una condanna iniziale a 30 anni di reclusione in primo grado, Fortuna era stato assolto dalla Corte d’Assise d’Appello. Tuttavia, la Cassazione aveva annullato l’assoluzione, ordinando un nuovo processo d’appello, che si è concluso con la conferma della pena a 30 anni.

Questo andamento processuale, unito alle accuse mosse da altri pentiti come Andrea Mantella e Onofrio Barbieri, ha spinto Fortuna a optare per la collaborazione con la giustizia, probabilmente nel tentativo di alleggerire la sua posizione legale.

Le conseguenze per il clan Bonavota

Il pentimento di Francesco Fortuna rappresenta un duro colpo per la cosca Bonavota, una delle organizzazioni criminali più radicate nel territorio calabrese. Le sue dichiarazioni potrebbero portare a nuovi arresti e processi, minando la struttura del clan e contribuendo a smantellarne le attività.

Negli ultimi anni, il numero di pentiti all’interno della ‘ndrangheta è aumentato significativamente, segno di un cambiamento che, sebbene lento, sta cominciando a scalfire il muro di omertà che da sempre caratterizza l’organizzazione. La collaborazione di Fortuna potrebbe rivelarsi cruciale non solo per il caso Bonavota, ma anche per far luce su altri episodi di violenza e criminalità che hanno segnato la storia recente della Calabria.

Una sfida per lo Stato e per la giustizia
Il caso di Francesco Fortuna dimostra come la lotta alla ‘ndrangheta richieda un impegno costante da parte dello Stato e della magistratura. Ogni pentimento rappresenta un passo avanti, ma la strada per debellare completamente questa piaga sociale resta lunga e complessa. Tuttavia, collaborazioni come quella di Fortuna sono un segnale che la pressione esercitata dalle forze dell’ordine e dalla giustizia comincia a dare i suoi frutti.