"Ai tempi di Covid-19 nella Piana di Gioia Tauro si continua a morire di ghetto. Amadou è
solo l'ultimo di una lunga lista di lutti, dopo Sekine, Moussa,
Becky, Suruwa, Soumaila, tutti morti in circostanze diverse, ma
per la medesima causa: le infime condizioni di vita in cui sono
stati costretti dalla strutturale condizione di sfruttamento
lavorativo e da una politica istituzionale che ha reso la
regolarizzazione un percorso ad ostacoli sempre più difficile".
E' quanto si afferma in una nota del Coordinamento braccianti
agricoli del sindacato Usb di Reggio Calabria.
"Non si tratta di una casualità - è scritto nella nota - ma
di una strategia che ha scaricato sui braccianti i costi di
un'intera filiera che proprio per le condizioni di illegalità
forzata in cui i braccianti sono stati costretti a lavorare
adesso si è bloccata. Se il lavoro nero o grigio non fosse la
regola nei campi oggi nessuno dei braccianti avrebbe problemi a
raggiungere serre, orti e frutteti, né avrebbe problemi di
documenti, né sarebbe obbligato a vivere nei ghetti. E forse non
ci sarebbe un altro morto da piangere. Per questo, nel dibattito
in corso sul futuro prossimo dell'agricoltura italiana è
doveroso ascoltare la voce dei braccianti, cioè chi
materialmente la porta avanti".
"Ci stanno chiamando in tanti - riporta ancora la nota- per
chiederci di aiutarli ad avere una casa in affitto, ad
emanciparsi dalle loro storie di sfruttamento, per dirci che
sono stanchi di essere trattati come animali, utili solo per le
braccia che mettono a disposizione per il guadagno di qualcuno,
senza diritti di alcun genere. La crisi verticale del settore
agricolo dimostra quanto i braccianti migranti siano
fondamentali, oggi come in passato, per far andare avanti il
settore. Per questo oggi è necessario porre fine
all'invisibilità di questo esercito di lavoratori che deve
essere regolarizzato, messo in condizioni di lavorare in maniera
dignitosa e con un salario decente. Si tratta di passaggi che si
possono e si devono fare in tempi brevi, al pari
dell'inserimento abitativo di questi lavoratori, oggi più che
mai messi a rischio perché costretti a vivere in assembramenti
di fatto, come ghetti e tendopoli, in piena pandemia".
Per il coordinamento braccianti Usb "è arrivato il momento di
chiamare in causa anche la grande distribuzione organizzata, che
deve essere obbligata a maggiore trasparenza nei propri processi
di acquisto e vendita, perché i prezzi d'acquisto ridicoli
imposti ai produttori non fanno altro che far ricadere i costi
sui braccianti, ultimo anello della catena. Quando questo non è
possibile, come nel periodo di crisi della filiera che stiamo
attraversando, il rischio è che a pagare siano i consumatori,
costretti a garantire gli ampi margini di profitto con la Gdo
con un verticale aumento dei prezzi. Si tratta di un terreno su
cui il governo deve intervenire, ma anche Regioni e Comuni
possono fare molto, a partire da una 'tassazione ad hoc' che
costringa anche la Gdo a finanziare con i propri utili sempre in
crescita, ottenuti con sangue e sudore dei lavoratori, serie
politiche di inserimento abitativo per i braccianti".