Delitto Belsito - Francesco Fortuna
Delitto Belsito - Francesco Fortuna

Le dichiarazioni di Francesco Fortuna

Un omicidio spietato, radicato nella logica dell’onore e delle dinamiche di potere della 'ndrangheta calabrese. È il 18 marzo 2004 quando Domenico Belsito, 34 anni, viene colpito da una raffica di proiettili a Pizzo, davanti a un bar, mentre si trova in auto con i suoi figli. Sopravvive inizialmente alle ferite, ma muore pochi giorni dopo in ospedale. A quasi due decenni dall'accaduto, le dichiarazioni di un nuovo pentito, Francesco Fortuna, aggiungono dettagli inquietanti alla già complessa ricostruzione del caso.

Un omicidio per "lavare la vergogna"

Secondo le testimonianze di Fortuna, l'omicidio di Belsito fu deciso per punire una relazione extraconiugale che l’uomo intratteneva con una donna, considerata una macchia sull’onore della famiglia, in particolare del fratello della donna. La relazione, nota sin dal 2001, divenne il motivo scatenante di una vendetta che i Bonavota ritennero necessaria per riaffermare il loro controllo e la loro reputazione.

Nonostante la sentenza di morte fosse stata emessa un anno prima, l’omicidio fu attuato solo nel 2004, sfruttando i legami del clan con Andrea Mantella, un altro membro della criminalità organizzata.

Delitto Belsito

 

Il racconto del pentito Fortuna

Francesco Fortuna, in un recente interrogatorio con i magistrati Vincenzo Capomolla e Antonio De Bernardo, ha confermato la sua partecipazione all'omicidio, rafforzando quanto già detto da Mantella e Onofrio Barbieri. Fortuna descrive come Mantella abbia ricambiato un favore precedente organizzando l’omicidio di Belsito. «Tutto è nato da un favore che Domenico Bonavota mi chiese: gambizzare il cognato di Mantella. In seguito, Mantella ha ricambiato organizzando ed eseguendo l'agguato a Belsito», racconta il pentito.

Il piano fu preparato meticolosamente: un’auto rubata, nascosta con l’arma del delitto nelle campagne di Sant’Onofrio, fu utilizzata per il delitto. Dopo alcuni sopralluoghi, il clan individuò Belsito il 18 marzo 2004 sulla via Nazionale di Pizzo, dove fu colpito.

Il delitto Belsito

Le giornate successive e le accuse contro il clan

Subito dopo l’agguato, i membri del clan, tra cui Domenico Bonavota, Mantella e altri, si riunirono tranquillamente per cenare in un ristorante, come se nulla fosse accaduto. Fortuna rivela anche un dettaglio inquietante: Domenico Bonavota si recò in ospedale a visitare Belsito, forse per accertarsi della situazione, ma senza alcun timore che la vittima potesse vendicarsi.

Tuttavia, secondo Mantella e altre fonti, alcuni membri del gruppo, tra cui Scrugli e Mantella stesso, potrebbero aver pianificato di eliminare definitivamente Belsito all’interno dell’ospedale. Fortuna ha poi smentito l’estraneità di Pasquale Bonavota, assolto in primo grado, dichiarando che anche lui sarebbe stato coinvolto nella pianificazione dell’agguato.

 

Un caso emblematico della violenza della 'ndrangheta

Questo omicidio, oltre a rappresentare un’azione di controllo sociale da parte della 'ndrangheta, getta luce sulle dinamiche interne ai clan e sulle alleanze basate su scambi di favori criminali. L’accordo tra i Bonavota e Mantella, infatti, segnò un’importante alleanza che consolidò il potere del clan.

Il processo per l'omicidio di Belsito ha portato a condanne significative, tra cui quella di Mantella e Fortuna, ma resta controverso il ruolo di altri presunti partecipanti. La collaborazione del pentito Fortuna potrebbe però aprire nuove prospettive investigative e portare a ulteriori sviluppi giudiziari.

 

L'importanza delle testimonianze dei collaboratori di giustizia

Le rivelazioni dei collaboratori di giustizia, pur rischiose, sono fondamentali per smantellare le reti criminali della 'ndrangheta. In questo caso, le testimonianze di Mantella, Barbieri e ora Fortuna offrono un quadro dettagliato delle modalità operative dei clan, delle dinamiche di potere e delle motivazioni dietro delitti come quello di Belsito.

L'omicidio di Domenico Belsito non è solo una tragica vicenda individuale, ma anche un simbolo delle atrocità compiute in nome dell'onore e del controllo sociale. Oggi, grazie alle indagini e alle confessioni, si avvicina sempre di più la possibilità di fare giustizia per le vittime e fermare l’imperversare della 'ndrangheta in Calabria.