L'antico corso di Monteleone, come cancellare secoli di storia in nome del progresso (o dell’incompetenza)
Monteleone, oggi nota come Vibo Valentia, un tempo gioiello di tradizione e artigianato, oggi teatro di uno dei più spettacolari casi di amnesia culturale a suon di milioni di euro. L’antico Corso Umberto I, orgoglio cittadino, pavimentato con basole vulcaniche provenienti direttamente dalle colate del Vesuvio, lavorate a mano e messe in opera a secco da maestri scalpellini, è stato trasformato in un ricordo lontano grazie al genio di amministratori e tecnici comunali. E se vi state chiedendo come tutto ciò sia stato possibile, la risposta è semplice: incompetenza travestita da progresso.
L’antica Monteleone: quando le strade raccontavano storie
Era il 1914 e Monteleone vantava uno dei corsi più affascinanti d’Italia. Le basole di pietra vulcanica, scalpite a mano con maestria, erano un esempio di ingegno e dedizione. Ogni pezzo, unico nel suo genere, era stato posato con precisione, senza l’ausilio del cemento, a dimostrazione che la bellezza non ha bisogno di colla chimica quando c'è l'arte. Quelle basole non erano solo pietre: erano la testimonianza di un legame tra uomo e natura, tra sapere antico e funzionalità. Questa meraviglia, che ha resistito per oltre un secolo, era un vanto non solo per Monteleone ma per l’intero Paese. E cosa abbiamo fatto con questo patrimonio? Esatto, abbiamo preso un escavatore e deciso che era arrivato il momento di dire addio alla storia. Perché lasciare che qualcosa duri più di cento anni quando possiamo distruggerlo in 36 giorni?
L’incontro tra amministratori e progresso, una tragedia annunciata
Un bel giorno, un manipolo di amministratori comunali e tecnici decise che le preziose basole erano ormai obsolete. Dopotutto, chi vuole camminare su pietre centenarie che raccontano storie di fatica e orgoglio, quando si può sprofondare comodamente in un mare di bitume? E così, armati di escavatori e di una visione del futuro che farebbe inorridire qualunque storico, hanno deciso di rimuovere le basole. E non parliamo di una rimozione delicata, eseguita con cura. No, qui si è andati giù pesante, con pale meccaniche che hanno trattato queste opere d’arte come macerie. Le pietre sono state accatastate, danneggiate, mai più sistemate come prima. Alcune sono state addirittura coperte con il bitume, in un gesto che grida “modernità” più forte di un parcheggio multipiano costruito davanti al Colosseo.
Un lavoro di 36 anni distrutto in 36 giorni
Le pavimentazioni originarie, frutto di 36 anni di lavoro meticoloso, sono state cancellate in poco più di un mese. Incredibile, vero? Laddove una volta c’era arte e perfezione, ora c’è disordine e superficialità. Bastava poco per conservare l’esistente: integrare qualche basola lesionata con equilibrio, senza stravolgimenti, per mantenere intatta la bellezza di un’opera che aveva già superato l’esame del tempo. Ma no, la nostra ossessione per il nuovo e il nostro disprezzo per il passato hanno avuto la meglio. Perché rispettare la storia quando puoi rimpiazzarla con qualcosa di anonimo e mediocre? La risposta è chiara: l’amministrazione ha preferito lasciare un segno. Purtroppo, il segno che ha lasciato è quello di un errore irreparabile. Quello che è accaduto a Corso Umberto I non è solo una questione di cattiva amministrazione. È un insulto alla memoria collettiva, un affronto alla tradizione e un chiaro esempio di come la mancanza di visione possa causare danni irreparabili. Ogni basola rimossa è un pezzo di storia che non tornerà mai più, un frammento di cultura calpestato in nome di un’idea di progresso che di progressista ha ben poco.
E oggi? Lo sfascio continua
Non contenti del danno già fatto, sembra che il declino non si sia fermato. Il centro storico di Vibo Valentia, un tempo ricco di fascino, continua a subire interventi che peggiorano la situazione. Laddove ci sarebbe bisogno di conservazione e valorizzazione, si preferisce l’abbattimento e l’omologazione. E così, pezzo dopo pezzo, la città perde la sua identità, trasformandosi in una pallida imitazione di se stessa. È arrivato il momento di fermarsi e riflettere. È possibile continuare a ignorare l’importanza della nostra storia? Possiamo permettere che decisioni miopi e scelte sbagliate cancellino ciò che ci rende unici? La risposta dovrebbe essere no. Ma per cambiare rotta, serve il coraggio di riconoscere gli errori del passato e la volontà di fare meglio in futuro. Cari amministratori, geometri e architetti: ricordate che il vostro lavoro non è solo costruire, ma preservare. La storia non è un fastidio da eliminare, ma un tesoro da custodire. E se proprio volete lasciare un segno, fate in modo che sia un segno di rispetto per il passato, non un’altra cicatrice sul volto della nostra città. Il caso di Corso Umberto I è un monito per tutti noi. Ci ricorda quanto sia facile distruggere e quanto sia difficile ricostruire. Ma ci offre anche un’opportunità: quella di imparare dai nostri errori e di impegnarci per salvare ciò che resta della nostra storia. Perché, alla fine, non si tratta solo di pietre o di strade. Si tratta della nostra identità, del nostro passato e del nostro futuro. E queste sono cose che non si possono ricoprire con il bitume.