A volte il cosiddetto corso della giustizia, può ledere la credibilità di una persona, sia a livello personale che lavorativo. E’ il caso di Vincenzo Rende, agronomo di Cosenza, il quale per sette lunghi anni è stato coinvolto in una procedimento penale con l’accusa di truffa aggravata. Sette anni, in cui ha dovuto difendersi non solo dalle accuse dei giudici ma anche da chi lo guardava con circospezione giudicandolo per quello che alla fine non è, come acclarato dall’esito processuale, pregiudicando anche la sua attività lavorativa e professionale. Alla fine dell’iter giudiziario, l’agronomo cosentino è stato assolto dall’accusa di truffa con formula piena perché il fatto non sussiste. Una vicenda grottesca durata, come già scritto sette interminabili anni,  a causa di quella che spesso e volentieri, viene definita come l’irragionevole durata del processo e che ha visto il protagonista di questo fatto esser considerato un vero e proprio truffatore. Solo con l’assoluzione si è finalmente redento , anche se solo parzialmente perché ora dovrà recuperare la sua credibilità, venuta meno durante il periodo processuale. E qui riemerge la questione relativa al diritto di ciascun cittadino di essere parte di un processo celere e garantista, una pretesa nei confronti della quale il legislatore non è ancora riuscito a trovare una risposta adeguata.