Gusto ribelle

La ristorazione in Calabria vive una duplice anima: da un lato, una tradizione antica, ricca di sapori autentici e rituali che profumano di albe laboriose; dall'altro, una modernità che talvolta scivola nella pigrizia culinaria, con chef più inclini ad aprire lattine che a celebrare la bellezza del territorio. È una battaglia, questa, che si gioca ogni giorno nelle cucine, tra chi spadella scorciatoie e chi accende i fornelli per onorare il mestiere. E la posta in gioco non è solo il gusto, ma l'identità stessa della Calabria gastronomica.

Che prezzo paga il cliente?

Immaginate una cucina in cui tutto è già pronto: il ragù che viene fuori da un barattolo, i sughi surgelati spacciati per "freschi di giornata", e magari qualche pomodoro dall'aspetto perfetto ma dal gusto anonimo. È una scenografia triste, dove il cuoco si riduce a comparsa, mero esecutore di una cucina senz’anima. Certo, è più rapido: meno fatica, meno tempo, meno costi. Ma che prezzo paga il cliente? Non solo in euro, ma in esperienze mancate, in sapori scialbi che si dimenticano prima ancora di lasciare il tavolo.

E qui il sistema ci mette del suo. Viviamo in un'epoca in cui la ristorazione è spesso misurata a colpi di recensioni frettolose e fotografie patinate sui social. Si privilegia l'estetica al contenuto, la velocità alla sostanza. Il rischio? Che la mediocrità si camuffi da successo, e che il consumatore non sappia più distinguere tra un piatto che racconta una storia e uno che recita una banale pubblicità.

Cercare la verità nei sapori

Dall’altro lato della barricata, ci sono loro: i cuochi eroici, quelli che si alzano presto, quando il mercato è ancora un luogo di vita e non un post scriptum del giorno prima. Si riconoscono subito: mani segnate dal lavoro, grembiuli che raccontano più di mille parole, una passione che brucia come il fuoco dei loro fornelli. Sono quelli che, anziché cercare di stupire con effetti speciali, cercano la verità nei sapori. La loro è una cucina che non ha bisogno di fronzoli, perché parla il linguaggio universale della freschezza e della genuinità.

Questi cuochi fanno qualcosa di più che preparare pasti: raccontano il territorio. Ogni ingrediente è un capitolo, ogni piatto una storia. Quando mangi una loro pasta al sugo, non stai solo mangiando: stai viaggiando, stai vivendo. E quando capita che qualcuno torni da un loro pranzo dicendo "è come quello di mia nonna", allora sì, hanno vinto.
Ma perché, in una regione così ricca di materie prime straordinarie, esiste ancora la tentazione di scendere a compromessi?

Tolleriamo l’insipido perché "tanto costa meno"

La risposta è amara come un caffè lasciato sul fuoco troppo a lungo. Da un lato, un sistema che premia la velocità, la quantità e il risparmio più della qualità. Dall’altro, una clientela a volte complice, disposta a tollerare l’insipido perché "tanto costa meno". E allora si scivola in quella spirale di mediocrità dove nessuno è davvero felice: né chi cucina, né chi mangia.

Forse la Calabria dovrebbe adottare una regola semplice: chi usa prodotti in scatola, almeno, si assicuri che siano di qualità; e chi cucina "fresco", smetta di sentirsi martire, perché la vera ricompensa non è nei riconoscimenti, ma nel sorriso di chi ha appena finito il suo piatto. E magari, una piccola tassa simbolica per ogni lattina aperta potrebbe finanziare i veri artigiani del gusto. Un’utopia? Forse, ma intanto lasciatemi sperare in un futuro dove ogni piatto servito racconti una Calabria fiera, viva, saporita. Perché, diciamocelo: il territorio è una miniera d’oro. Sta ai cuochi decidere se essere minatori o turisti disattenti.