No, non ci vergogniamo di analizzare il fenomeno della cocaina nella città di Cosenza
Il nostro articolo sull'uso di sostanze e ultras ha scatenato molte polemiche, ecco la nostra risposta

“Vergognatevi”, scrivete. E lo fate con la sicurezza di chi si sente intoccabile, forte di un’identità costruita attorno a una bandiera e a uno stile di vita che pretende rispetto, ma raramente lo concede. Rispondiamo con chiarezza: no, non ci vergogniamo. Noi facciamo semplicemente il nostro lavoro.
Ampia inchiesta sull'uso di cocaina nella città di Cosenza
Cominciamo col dire che l’articolo “Cocaina e Ultras: le curve tra tifo, spaccio e rituali di potere”, che tanto vi ha infastidito, è parte di un’inchiesta più ampia sull’uso di cocaina in città. È il terzo capitolo della serie “Cosenza sotto effetto: la città che si consuma nella polvere”, dopo “Dentro la filiera della cocaina a Cosenza: dai carichi internazionali ai vicoli della città”. Nell’articolo “incriminato” raccontiamo un fenomeno triste e ampiamente documentato: lo spaccio e il consumo di cocaina all’interno delle curve. Non è una nostra invenzione, né una provocazione. Se ne occupano da anni le cronache nazionali, citando piazze come Roma, Lazio, Milan, Inter, Verona e molte altre.
Dinamiche presenti in tutte le curve d'Italia
Abbiamo semplicemente evidenziato come le stesse dinamiche criminali presenti nelle grandi curve abbiano attecchito anche nelle curve di provincia, Cosenza inclusa. Non è un attacco mirato, come è stato inteso, ma una semplice constatazione: certi meccanismi – il consumo collettivo, i codici tribali, lo spaccio strutturato – non sono più un’esclusiva delle grandi tifoserie. Riguardano tutto il mondo ultras. E Cosenza, purtroppo, non fa eccezione. Non fosse altro per il dato ormai allarmante e certificato sul consumo di cocaina nell’intera area urbana.
Nessuno vuole attaccare gli ultras
Per questo il nostro articolo non è – e non vuole essere – un attacco al vostro gruppo. È solo un’analisi, un racconto scomodo, una fotografia della realtà. Che vi dia fastidio, lo comprendiamo. Ma non comprendiamo il motivo di tanto livore, soprattutto davanti a una verità che tutti conoscono. Verrebbe da dire: “a prima gaddrina ca canta ha fattu l'uavu”. Del resto, non è più un mistero per nessuno che molti nascondano dietro le parole “passione” e “ultrà” crepe profonde. Crepe che, negli ultimi anni, nel silenzio generale, si sono trasformate in vere e proprie voragini. E chi prova a raccontarle viene subito bollato come “prezzolato”, “infame”, “nemico”.
Nella vostra replica non c’è una sola smentita nel merito. Nessun argomento, nessuna confutazione dei fatti. Solo fango, insulti e vittimismo. Come se il fenomeno criminale nelle curve non esistesse. Ma si dice – giustamente – che la curva è il riflesso della società. E se nella società cosentina gira così tanta droga, perché proprio la curva dovrebbe esserne immune? Su questo, almeno, sarete d’accordo.
La cocaina non è cultura
Ci accusate di infangare “anni di storia”. Ma la storia non è un alibi. La storia, se tradita, si trasforma in farsa. Nessuno mette in dubbio che la curva sia stata – e in parte possa ancora essere – spazio di militanza, fratellanza, comunità. Ma negare che oggi, in molte curve – anche a Cosenza – girino cocaina, soldi e logiche da clan, significa prendere in giro la realtà. O, peggio, volerla proteggere.Parlate di “cultura dello sballo” e di “richieste di legalizzazione delle droghe leggere”. Benissimo. Ma la cocaina non è cultura, non è rivendicazione politica. È mercato. È dominio. È controllo.
I veri ultrà resistono ai mutamenti
Ed è proprio questo che denunciamo: la mutazione. Il passaggio da movimento spontaneo a struttura para-criminale. Non lo diciamo solo noi: lo dicono le inchieste, le intercettazioni, le relazioni parlamentari. Lo dice la strada. Ma soprattutto, lo dicono gli ultrà – quelli veri – che ancora oggi resistono a tutto questo. E che, invece di nascondersi dietro l’onore offeso, sanno guardare in faccia la realtà. Anche quando brucia. E questo, senz’offesa per nessuno, “unnè cosa ppe tutti”.