Paola, orrore su due fratellini: tre mesi dopo, il silenzio pesa più delle botte
I bambini sono ora con la nonna paterna ma li aspetta un lungo percorso di ricostruzione

C'è un silenzio che fa più male delle urla. È il silenzio che, a distanza di tre mesi, ancora avvolge una delle vicende più brutali e sconvolgenti degli ultimi anni accaduta in Calabria. Una storia che ha il sapore amaro dell’indifferenza e il peso insopportabile dell’inerzia. Una storia che ha per protagonisti due bambini, due fratellini di appena quattro e due anni, ridotti allo stremo in quella che avrebbe dovuto essere la loro casa, il loro rifugio.
Era il 25 gennaio 2025 quando il più grande dei due, quattro anni appena, veniva ricoverato d’urgenza all’ospedale di Cosenza con segni evidenti di percosse. Occhi gonfi, lividi sparsi, silenzi carichi di paura. Poche ore dopo, nel corso dell’intervento delle autorità nell’abitazione familiare a Paola, è stato rinvenuto il fratellino minore, due anni, in condizioni ancora peggiori: morsi alle orecchie, bruciature di sigaretta sulla pelle, lividi ovunque e persino una frattura scomposta al braccio.
Una scena da film dell’orrore, eppure drammaticamente vera. Una storia vera. La nostra.
La violenza sotto il tetto di casa
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il compagno della madre – oggi agli arresti – è accusato di essere il principale responsabile delle violenze. Le avrebbe inflitte come forma di “educazione rigorosa”. Parole che gelano il sangue, che fanno rabbia, che pesano come pietre. Ma non meno inquietante è l’atteggiamento del resto della famiglia: la nonna materna avrebbe approvato quei “metodi”, mentre la madre avrebbe scelto il silenzio. Un silenzio colpevole, che ha lasciato due anime indifese in pasto alla crudeltà.
A lanciare l’allarme, e con fermezza, era stato il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Calabria, Antonio Marziale, che parlò di “una situazione aberrante” e invocò una profonda riflessione su come certi drammi possano ancora accadere nel cuore di una comunità.
Il sindaco di Paola, dal canto suo, spiegò che la famiglia era sì seguita dai servizi sociali, ma non per episodi di violenza. Il che solleva ulteriori interrogativi: è possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Che nessun vicino, parente, conoscente abbia mai pensato che quei due bambini vivessero nell’inferno?
Tre mesi dopo: e adesso?
Oggi sono passati tre mesi. I bambini, dopo le prime cure ospedaliere, sono stati affidati alla nonna paterna, in un contesto ritenuto sicuro e protetto. Una scelta che, almeno per ora, offre loro una parvenza di stabilità, un punto di partenza per ricostruire, lentamente, ciò che è stato distrutto. Ma il loro futuro è ancora tutto da scrivere. Serve tempo, certo. Servono cure, delicatezza, affetto. Ma serve anche un'assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni, che non possono più voltarsi dall’altra parte.
Perché in questa storia ci sono troppi "non visti", troppi silenzi, troppe omissioni. Serve che qualcuno, adesso, si occupi veramente di loro. Che non siano solo "il caso" di gennaio. Che non finiscano nel dimenticatoio, come spesso accade in questo Paese dove le tragedie durano il tempo di un titolo.
E noi? Noi non dimentichiamo
Come redazione di Calabria News 24, abbiamo scelto di non dimenticare. Perché dietro quelle cartelle cliniche ci sono due bambini che meritano una seconda possibilità. Perché la giustizia non può essere solo punizione, ma deve anche e soprattutto essere protezione e futuro.
E allora ci chiediamo: quanto ancora dobbiamo aspettare per vedere un gesto concreto? Un atto forte da parte della Regione, un progetto di supporto reale, un segnale. Magari, perché no, anche una famiglia che sia pronta ad accogliere quei bambini e a curarli non solo con terapie, ma con amore.
La Calabria che soffre ha anche il dovere di rispondere. Di mostrarsi madre. Perché è troppo facile indignarsi e dimenticare. Più difficile – ma necessario – è restare, raccontare, e pretendere che certe storie non si ripetano.
Calabria News 24 continuerà a seguire da vicino il caso, non per sensazionalismo, ma per principio. Per rispetto verso quei due bambini. Perché in un mondo che corre, loro non devono restare indietro. E, soprattutto, non devono più avere paura. Mai più.