Un'inchiesta della Guardia di Finanza di Catanzaro ha portato alla luce un sistema di corruzione che coinvolge politici, dirigenti regionali e professionisti. Tra i protagonisti di questa vicenda, un giudice di grande influenza che avrebbe offerto la sua protezione ad amici e colleghi di potere, risolvendo "grane" giudiziarie attraverso canali riservati e informali. La sua figura emerge come centrale in una rete di favori, nella quale la giustizia sembra piegata alle esigenze politiche e personali.

La vicenda

Nel gennaio 2019, il dirigente regionale Domenico Maria Pallaria, uno dei principali coinvolti nell’inchiesta, si trova a fare i conti con il timore di indagini in corso contro di lui. Preoccupato per il proprio futuro, si rivolge ad un giudice di alto profilo per ottenere rassicurazioni e, possibilmente, ottenere un vantaggio nel corso delle indagini. È in questo contesto che emerge un episodio significativo: la conversazione intercettata dagli investigatori in cui Pallaria, in cerca di conferme, si mette in contatto con il magistrato. La risposta che ottiene è quella che ogni politico potrebbe sognare: "Mi ha telefonato da Roma e mi dice che non risulta niente", è la rassicurazione che Pallaria riceve dal suo interlocutore. Un'informazione che non solo conferma l'assenza di indagini nei suoi confronti, ma che dimostra anche come il sistema di "protezione" sia ben radicato e funzionale. La conversazione, intercettata dai finanzieri, è di fondamentale importanza, non solo per il contenuto esplicito, ma anche per ciò che rivela sul funzionamento dei canali di comunicazione riservati tra esponenti delle istituzioni. In particolare, il fatto che Pallaria sia riuscito a ottenere queste informazioni dal giudice senza suscitare sospetti evidenzia un sistema ben collaudato, in cui le istituzioni giuridiche si intrecciano con quelle politiche in un gioco di favori reciproci.

Gli accordi con la politica

Ma le manovre di Pallaria non si limitano a cercare rassicurazioni per sé stesso. L'inchiesta rivela anche un altro capitolo inquietante: il coinvolgimento diretto del dirigente regionale nel cercare di "sbloccare" una situazione delicata per l'ex presidente della Regione, Mario Oliverio. Incaricato di un favore di alto profilo, Pallaria si reca a Roma per chiedere un intervento diretto del giudice al fine di ottenere una decisione favorevole dalla Corte di Cassazione che avrebbe potuto annullare una misura cautelare nei confronti di Oliverio. "Vado subito", scrive Pallaria al collega. Il viaggio nella capitale non è solo un incontro casuale: è il tentativo di far valere il peso della sua rete di contatti per influenzare la giustizia a favore di un potente politico locale. L'incontro con il giudice avviene in modo furtivo. Pallaria, pur avendo ricevuto l'ordine di registrazione degli investigatori, spegne il cellulare, cercando di evitare ogni traccia di ciò che avviene in quel momento. Un comportamento che fa sorgere non pochi interrogativi sulla sua consapevolezza del rischio che corre, e sull'intento di sfuggire a ogni possibile indagine sulle sue azioni. Eppure, nonostante i tentativi di occultare le prove, il favore che Pallaria aveva chiesto non è passato inosservato: a distanza di due mesi, la Corte di Cassazione revoca la misura cautelare che pesava su Oliverio, dando un segnale preoccupante di come le pressioni politiche e personali possano influenzare l'operato della giustizia.