Un atteggiamento privo di giustificazione, la corsa all’accaparramento dei medicinali a base di iodio per contrastare i danni causati da un possibile scontro nucleare. Farmacie e autorità sanitarie mettono le mani avanti: “non ci sono basi scientifiche” giudicando questo come una “psicosi collettiva”.

Facciamo chiarezza

Considerando un possibile attacco alle centrali nucleari durante il conflitto in Ucraina, i danni dovuti dalla fuga di radiazioni saranno ad elevata intensità solo nel caso in cui ci si trovi ad un raggio molto ravvicinato, causando possibili problemi al midollo osseo e all'intestino.

Il mito dello iodio e lo stato di panico generalizzato ha origine nel disastro di Chernobyl, in quanto causa di numerosi tumori alla tiroide dovuti al rilascio dello iodio-131. Questo si accumula nella tiroide, danneggiandola nel lungo tempo, costituendo un pericolo soprattutto per i bambini sotto i 10 anni e per il feto delle donne in stavo di gravidanza. Secondo i medici “la somministrazione di una dose sopra fisiologica di iodio non radioattivo, sotto forma di ioduro di potassio (KI), può ridurre, fino a bloccare, l’accumulo dello iodio radioattivo all’interno della tiroide.” Esso funge, quindi, da modulatore.

Ciò nonostante, assumere un medicinale senza comprovate motivazioni o senza la sottoscrizione di un medico può essere comunque dannoso, poiché si va a sovraccaricare la tiroide inutilmente. Questo medicinale – a quanto dichiara Alfonso Misasi, presidente di Federfarma Cosenza – entro un certo lasso di tempo dall’esposizione, che comunque deve avvenire entro un certo kilometraggio per essere realmente allarmante.