Contro la guerra che affossa anche l'economia sono già migliaia gli allevatori, gli agricoltori e i pescatori della Coldiretti in piazza da Nord a Sud del Paese.

Non riescono più a coprire i costi di produzione per il balzo dei beni energetici che si trasferisce a valanga sui bilanci delle loro aziende e vogliono far sentire la loro voce. Se il caro petrolio spinto dall'invasione dell'Ucraina costringe le barche a rimanere in banchina e a fermare i trattori, le ritorsioni della Russia colpiscono i mezzi di produzione, a partire dai concimi, obbligando i coltivatori a tagliare i raccolti mentre sanzioni ed embarghi bloccano i commerci, sconvolgono i mercati e favoriscono le speculazioni. Numerosi i cartelli di protesta dei produttori che ben riassumono l'emergenza di queste ore, da "Putin facciamo la pace a "Mettete i fiori nei vostri cannoni" e ancora da "Fermiamo la guerra dei prezzi" a "No alla guerra che aumenta la fame" e "Non possiamo produrre in perdita". La Coldiretti fa sapere che al Porto Antico di Genova in darsena a Calata Vignoso è in corso l'iniziativa "barche aperte" e il "giardino della pace", a Bari in piazza Libertà è allestita una stalla con mucche e vitelli, mentre a Mestre a Forte Marghera sfilano i trattori ed è stata aperta l'arca di Noè con gli animali della fattoria a rischio di estinzione, a causa dell'impennata dei costi dei mangimi alimentata dalla guerra, con l'Ucraina che garantiva il 20% delle importazioni italiane di mais.




Secondo un analisi di Coldiretti Impresapesca, con il caro petrolio spinto dall’invasione dell’Ucraina, il prezzo medio del gasolio per la pesca è praticamente raddoppiato (+90%) rispetto allo scorso anno, costringendo i pescherecci italiani a navigare in perdita o a tagliare le uscite. Tuo questo andando a favorire le importazioni di pesce straniero.Fino ad oltre la metà dei costi che le aziende ittiche devono sostenere è rappresentata proprio dal carburante, ricorda la Coldiretti, e con gli attuali ricavi la maggior parte non riesce a coprire nemmeno le altre voci per la normale attività. Un danno per un settore che conta 12 mila imprese e 28 mila lavoratori, con un vasto indotto collegato.

Ma la crisi energetica, spiega la Coldiretti, aggrava una situazione resa già difficile dalle norme Ue che hanno portato ad una riduzione delle attività di pesca dal 1 gennaio scorso a poco più di 120 giorni o 130 giorni in base alle dimensioni delle imbarcazioni; il chè ha messo a rischio quasi il 50% del valore del settore in zone strategiche come l’Adriatico, il Tirreno ed il Canale di Sicilia. Uno scenario economico in cui viene messo a repentaglio il prodotto italiano a favore di quello straniero. E i numeri parlano chiaro: nei primi undici mesi del 2021 le importazioni sono aumentate del 25% in valore, il ché va ad impattare sulle scelte a tavola degli italiani che mangiano circa 28 chili di pesce all’anno, sopra la media europea ma lontano dai quasi 60 chili del Portogallo.