La quarta dose di vaccino a mRNA riporta gli anticorpi contro il virus SarsCov2 ai livelli che si erano raggiunti dopo la terza dose, ma ciò non basta per prevenire le infezioni da Omicron perchè la protezione offerta dalla dose aggiuntiva contro la variante non supera il 30%.

Lo indica lo studio dello Sheba Medical Center, di Ramat Gan in Israele, accessibile online sulla piattaforma medRxiv, che accoglie gli articoli che non ancora sottoposti alla revisione della comunità scientifica.

La ricerca ha coinvolto 274 operatori sanitari che hanno ricevuto la quarta dose di vaccino Pfizer/BioNTech o Moderna a distanza di almeno quattro mesi dalla terza dose: in quel momento i volontari avevano un livello di anticorpi 6 volte più basso rispetto al picco raggiunto dopo la dose di richiamo.

Passate 2-3 settimane dalla somministrazione della quarta dose, i livelli di protezione si sono alzati di 9-10 volte. Anche la capacità neutralizzante contro la variante Omicron è aumentata notevolmente, pur rimanendo 10 volte sotto quella che si riscontrava contro il virus originario di Wuhan.

Nonostante questo risveglio delle difese immunitarie, lo studio ha mostrato che circa un quinto del campione arruolato ha contratto un'infezione da SarsCov2 (28 vaccinati Pfizer/BioNTech e 29 Moderna), una quota appena più bassa rispetto al gruppo di controllo, che aveva tre dosi di vaccino.

Secondo le stime dei ricercatori, sulla base di questi dati, l'efficacia della quarta dose di prevenire l'infezione è del 30% per il vaccino Pfizer/BioNTech e dell'11% per Moderna; un po' più alto il livello di protezione verso la malattia sintomatica (43% e 31%). Resta invece confermata l'alta efficacia contro la malattia grave.

Le differenze riscontrate nello studio tra i due vaccini, precisano i ricercatori, sembrano più dovute a oscillazioni statistiche legate ai piccoli numeri della ricerca che a una effettiva differenza di efficacia. Per quel che concerne i sintomi, erano nella gran parte dei casi "trascurabili".

Nonostante ciò, fanno notare i ricercatori, "la stragrande maggioranza aveva una carica virale relativamente alta e quindi, i casi di infezione erano presumibilmente infettivi".