L’origine della malavita a Reggio Calabria: sangue, droga e potere
La storia della malavita reggina è un monito: un racconto di sangue e potere, ma anche di resistenza, per una città che cerca di riprendersi il futuro
Le origini della malavita reggina
Reggio Calabria, culla della ‘ndrangheta, è da sempre un punto nevralgico per la criminalità organizzata italiana. Negli anni del secondo dopoguerra, quando lo Stato fatica a ristabilire l’ordine in un Sud impoverito e dimenticato, si pone il terreno fertile per la nascita e l’espansione di quella che diventerà una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo.
Questo articolo ripercorre le origini della malavita reggina e delle zone limitrofe, analizzando i primi episodi di violenza, il controllo territoriale, e l’ascesa delle attività illecite come il traffico di droga e il racket delle estorsioni.
Le origini della criminalità organizzata reggina
Negli anni ‘50 e ‘60, la malavita di Reggio Calabria si distingue ancora per il suo carattere rurale. Le famiglie criminali, spesso legate da vincoli di sangue, si concentrano su attività come il furto di bestiame, il contrabbando e l’estorsione ai danni di piccoli imprenditori agricoli. In questa fase, il controllo del territorio è già una priorità: i capi famiglia instaurano un sistema basato sulla paura e sull’omertà, con pochi episodi di violenza e un’organizzazione ancora lontana dall’efficienza che raggiungerà in seguito.
Tuttavia, con l’espansione economica degli anni ‘60 e l’arrivo di investimenti pubblici per lo sviluppo del Mezzogiorno, la malavita reggina inizia a trasformarsi. I clan comprendono l’importanza di infiltrarsi nelle grandi opere pubbliche e di ottenere il controllo su appalti e infrastrutture. Questo cambio di passo porta inevitabilmente a rivalità interne e all’aumento degli omicidi.
L'origine della malavita a Reggio
La prima ondata di sangue: faide e omicidi eccellenti
Il primo grande conflitto che scuote Reggio Calabria è la faida di Montalto, iniziata negli anni ‘70. Al centro dello scontro vi sono le famiglie De Stefano, Tripodo e Condello, che si contendono il controllo della città e dei comuni limitrofi. La faida inizia con l’assassinio di Antonio Tripodo, storico boss della mala reggina, ucciso nel carcere di Poggioreale nel 1975. La sua morte segna l’ascesa dei De Stefano, una famiglia giovane e ambiziosa che riesce a consolidare il proprio potere grazie a legami con la politica e il mondo degli affari.
Negli stessi anni, gli omicidi si moltiplicano: capi, gregari e semplici sospetti vengono eliminati in una spirale di violenza senza precedenti. Alcuni dei delitti più eclatanti avvengono in pieno giorno, come l’omicidio di Giovanni Filocamo, freddato nel 1974 davanti al mercato di Reggio Calabria. Questo clima di paura non risparmia neanche i civili: numerose vittime innocenti si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato, come Pasquale Neri, un ragazzo ucciso per errore durante un agguato nel quartiere Archi.
Il traffico di droga: la svolta internazionale
Gli anni ‘80 segnano un momento cruciale per la criminalità organizzata reggina: l’ingresso nel traffico di droga su scala internazionale. Grazie ai legami con i cartelli sudamericani e alle rotte marittime che attraversano il porto di Gioia Tauro, i clan riescono a importare enormi quantità di cocaina. Reggio Calabria diventa un crocevia per lo smistamento della droga verso l’Italia settentrionale e il resto d’Europa.
Il traffico di stupefacenti garantisce ai clan profitti enormi, che vengono reinvestiti in immobili, aziende e nuove attività criminali. La droga non solo arricchisce i boss, ma consolida il loro controllo sul territorio: intere comunità finiscono nelle mani dei clan, che utilizzano la dipendenza come strumento di potere.
Tra i principali attori di questa fase ci sono i Piromalli e i Molè, due delle famiglie più potenti della Piana di Gioia Tauro, che instaurano un dominio incontrastato sulle rotte del narcotraffico. Gli scontri con i rivali, però, sono inevitabili: nel 1985, l’omicidio di Giuseppe "Pino" Mammoliti, legato al clan dei Pesce, scatena una nuova ondata di violenze che si estende fino a Reggio Calabria.
Il racket delle estorsioni: il controllo economico
Mentre il traffico di droga garantisce entrate milionarie, il racket delle estorsioni diventa il principale strumento di controllo economico dei clan. Negli anni ‘80 e ‘90, nessuna attività commerciale può operare senza pagare il "pizzo". Dalla piccola bottega ai grandi cantieri edili, ogni imprenditore è costretto a cedere una parte dei propri guadagni ai boss locali.
Il sistema è estremamente organizzato: ogni zona della città è affidata a un gruppo specifico, che raccoglie il denaro e lo distribuisce ai livelli superiori dell’organizzazione. Chi non si adegua viene punito con incendi dolosi, minacce e, nei casi più estremi, con l’omicidio. Tra le vittime di questo sistema c’è Domenico Licastro, un piccolo imprenditore che si rifiutò di pagare il pizzo e fu ucciso nel 1988 davanti al suo negozio.
La società sotto scacco
La malavita reggina non si limita alla violenza: utilizza la paura per penetrare in ogni aspetto della vita quotidiana. I legami con la politica e le istituzioni permettono ai clan di godere di una quasi totale impunità. Sindaci, funzionari pubblici e forze dell’ordine corrotti garantiscono ai boss la possibilità di continuare a operare indisturbati, mentre la popolazione rimane intrappolata in un clima di omertà e terrore.
La città subisce un declino sociale ed economico: i giovani sono attratti dalle promesse di denaro facile offerte dai clan, mentre chi prova a opporsi rischia la vita. Le poche voci di resistenza, come quelle di alcuni giornalisti e sacerdoti, vengono spesso silenziate con la forza.
Le conseguenze e il futuro
Le radici della malavita a Reggio Calabria si intrecciano profondamente con la storia della città. Dagli omicidi eccellenti alle faide, dal traffico di droga al racket delle estorsioni, i clan hanno costruito un impero che ancora oggi lascia un segno indelebile. Sebbene negli ultimi decenni le operazioni delle forze dell’ordine abbiano portato a centinaia di arresti e sequestri, la lotta contro la ‘ndrangheta è ancora lunga e complessa.
La storia della criminalità organizzata reggina è un monito: un racconto di sangue e potere, ma anche di resistenza e speranza, per una città che cerca di riprendersi il futuro.