Tante le inchieste nel corso degli anni che confermano di come la
'ndrangheta sia da sempre interessata alla gestione del traffico dei
rifiuti.  Attività criminale che frutta giri di centinaia di milioni
di euro l'anno.  A raccontare del giro d’affari legati al controllo
del traffico di rifiuti anche numerosi pentiti. Fra i tanti anche il
pentito di Camorra, Carmine Schiavone, cugino di Francesco Schiavone
detto "Sandokan" e cassiere per anni dei potenti clan dei casalesi
deceduto all'età di 72 anni nel 2015. Carmine Schiavone era noto alle
cronache per aver raccontato da pentito della Terra dei Fuochi
controllata dal clan del casalesi. Fra le sue tante dichiarazioni
ritenute attendibili dalla magistratura Carmine Schiavone sostenne in
più occasioni ed anche in alcune interviste rilasciate su Tv nazionali
che anche in Calabria la ‘ndrangheta, sin dagli anni ’70, ha
utilizzato il territorio per seppellire tonnellate e tonnellate di
rifiuti di ogni tipo. E in più occasioni affermò che la vera "Terra
dei Fuochi" non era solo la zona controllata dal clan dei casalesi ma
la Calabria. Carmine Schiavone morì improvvisamente per un infarto
poco tempo prima di essere convocato dai magistrati di Reggio Calabria
per raccogliere le sue dichiarazioni e le sue conoscenze sui traffici
dei rifiuti in Calabria gestiti dalla 'ndrangheta. E Schiavone non è
stato certamente il primo o l'unico pentito a parlare del traffico dei
rifiuti. Ne parlò per anni anche Francesco Fonti, boss pentito di
‘ndrangheta. E Francesco Fonti il 5 dicembre del 2012 ha lasciato la
sua vita terrena colpito da un male incurabile dopo aver trascorso gli
ultimi diciotto anni della sua esistenza da collaboratore di
giustizia. Ma chi è stato realmente Francesco Fonti. Un vero boss
della ‘ndrangheta prima ed un pentito scomodo dopo, oppure un uomo che
ha sempre cercato da dare di sé una visione diversa millantando
credito e romanzando la sua vita cercando di farsi accreditare per
quello che in realtà non era. E fra le due tesi quella che ebbe la
meglio fu quella di essere considerato poco credibile. Eppure a
leggere il libro autobiografico, “Io, Francesco Fonti, pentito di
‘ndrangheta e la mia nave dei veleni” edito dalla “Falco Editore”
nell'ottobre del 2009 non sembra poi essere del tutto inattendibile.
Inoltre da quando, e precisamente dal 23 maggio 2014, alcuni documenti
coperti da segreto di Stato relativi alle indagini sulla morte di
Ilaria Alpi e sul presunto traffico internazionale di rifiuti sono
stati desecretati su decisione del Consiglio dei Ministri, non sembra
affatto che in alcuni di questi il collaboratore di giustizia
Francesco Fonti venisse ritenuto completamente inaffidabile, per come
poi, invece, è stato giudicato nell’ambito processuale. Fonti
collezionò, fra l'altro, anche tre condanne per calunnia nei confronti
di diversi magistrati. E nelle sue dichiarazioni Francesco Fonti non
risparmia nessuno. Racconta di cene romane con esponenti importanti
dei servizi segreti, di incontri con importanti personaggi della Prima
Repubblica.  Si tratta ovviamente del periodo nel quale Francesco
Fonti frequentava Roma e girava l'Italia per lungo e per largo. Si
tratta degli anni ’70 ed anni ’80 considerando che, condannato a 50
anni di reclusione, diviene collaboratore di giustizia nel 1994,
quando aveva soli 46 anni, e quando nella gerarchia ‘ndranghetista
aveva raggiunto il grado di “Vangelista”. Francesco Fonti nasce a
Bovalino il 22 febbraio 1948. “Avevo meno di vent’anni, ma nel Sud
questa età è quella buona per essere affiliato”, “Venni mandato a
Torino per farmi le ossa” racconta Fonti di se stesso. E nel suo libro
racconta anche della sua esperienza vissuta nel cosentino, della sua
permanenza a Rossano Calabro dove acquistò una villa e dove espletò
l'attività di commerciante nel settore dell’arredamento, del
contrasto, poi risolto, con Giuseppe Cirillo, in quel tempo boss della
sibaritide. Il racconto della sua vita prosegue con l'arresto nel 1985
nel carcere di Vibo dove Fonti conosce Franco Pino, il boss dagli
occhi di ghiaccio. Sempre nel 1985 Fonti nel carcere di Vibo partecipa
alla veglia funebre in onore di Paolo De Stefano, ucciso nella guerra
di ‘ndrangheta reggina il 13 ottobre 1985. Racconta anche della sua
esperienza carceraria vissuta all'interno del carcere di Via Popilia a
Cosenza e racconta del suo ingresso nella “Santa”, l'organizzazione di
vertice della ‘ndrangheta ai quali componenti è permesso di avere
contatti con esponenti deviati dello Stato, del suo rapporto per anni
con uomini dei servizi segreti e con potenti personaggi della mafia
siciliana. Ma la sua credibilità subisce un duro colpo quando il
Ministero dell'Ambiente accerta che il relitto antistante il mare di
Cetraro non è la nave “Cunsky” che, per le dichiarazioni di Fonti,
venne fatta affondare con il suo carico tossico, bensì quello del
Piroscafo “Catania” affondato durante l'ultima guerra. Vi è chi pensa
che la storia delle navi dei veleni sia uno di quei misteri
all'italiana che tali rimarranno per sempre nonostante la
desecretazione degli atti coperti dal cosiddetto segreto di Stato. Una
storia, quella delle navi dei veleni, sulla quale sono stati scritti
fiumi e fiumi d'inchiostro, sulla quale sono stati pubblicati numerosi
libri con diversa fortuna editoriale. Così come mai si saprà con
certezza se Francesco Fonti raccontò da pentito una verità vera ma
scomoda oppure Francesco Fonti, nel suo paese detto "Ciccillo", nel
suo memoriale di 49 pagine del 2003 consegnato a Enzo Macrì della
Procura nazionale Antimafia nel quale si racconta delle tante navi
affondate nel Mediterraneo, si avventurò nel fantasticare fatti non
veri per darsi un ruolo che non ha mai avuto. Anche questo rimarrà un
mistero come rimarrà un mistero su cosa cercassero coloro i quali
hanno saccheggiato la sua modesta abitazione assegnatagli nell'ambito
del regime di protezione e collocata segretamente in un centro
assistenziale di una provincia del Nord Italia pochi giorni dopo la
sua morte. Rimane l'interrogativo inquietante se l'aumento del numero
dei tumori in Calabria registrato negli ultimi anni sia da collegare
alla presenza di rifiuti tossici sul territorio. Del resto un recente
rapporto dell'Istituto Superiore di Sanità illustrato dal Procuratore
Francesco Greco, dal Presidente dell'ISS, Silvio Brusaferro e dal
Procuratore generale di Napoli, Luigi Riello, si riconosce anche sul
piano scientifico il rapporto diretto fra la presenza sul territorio
di rifiuti tossici e la crescita dei tumori nella popolazione.

Gianfranco Bonofiglio