Sviluppato un 'interruttore' molecolare che permette di riaccendere l'udito attraverso impulsi di luce: si chiama TCPfast ed è una molecola che trasforma i normali neuroni uditivi in neuroni che si attivano con la luce, senza la necessità di modificarli geneticamente.

Sperimentata con successo sulle cellule e sugli animali di laboratorio, potrebbe aprire a una nuova generazione di impianti cocleari attivati dalla luce che, a differenza di quelli elettrici attualmente in uso, permetterebbero alle persone sorde o con gravi deficit dell'udito di percepire correttamente la musica e le conversazioni in ambienti rumorosi. Il risultato è pubblicato su Journal of the American Chemical Society da un team internazionale guidato dall'Istituto di bioingegneria della Catalogna (Ibec) con il contributo di Carlo Matera, chimico farmaceutico dell’Ibec che lavora da due anni come ricercatore presso il dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università Statale di Milano.

L'idea di riattivare i neuroni uditivi con stimoli luminosi e non elettrici, sperimentata da uno degli autori dello studio, Tobias Moser, che all'Università di Gottinga aveva ripristinato l'udito in animali di laboratorio attraverso una modificazione genetica dei neuroni cocleari, rendendoli così capaci di trasformare gli stimoli luminosi ricevuti da un apposito dispositivo (l’impianto cocleare) in un potenziale d’azione trasmesso al cervello e percepito come suono.

“Al fine di evitare la manipolazione genetica - spiega Carlo Matera - in questo nuovo progetto abbiamo invece sviluppato un metodo alternativo per accoppiare la luce all'attività elettrica dei neuroni. Abbiamo così ideato una molecola, denominata TCPfast, in grado di legarsi a un recettore neuronale e di funzionare come una protesi molecolare che trasforma i normali neuroni uditivi in neuroni in grado di attivarsi con la luce”.

“Il motivo principale per cui gli utilizzatori di impianti cocleari non riescono a percepire correttamente la musica e le conversazioni in ambienti rumorosi è rappresentato dal fatto che la coclea, per sua stessa natura, contiene dei liquidi: questo fa sì che in alcuni casi gli stimoli di natura elettrica si propaghino al suo interno in maniera eccessiva”, spiega Antoine Huet, ricercatore dello University Medical Center di Gottingen. “Poiché invece la luce invece può essere trasmessa in maniera più definita attraverso i liquidi, la nostra tecnica consente di stimolare i neuroni della coclea con una precisione di gran lunga superiore”.

Esperimenti condotti su cellule e piccoli roditori dimostrano che quando la molecola TCPfast viene colpita da luce blu è in grado di indurre un segnale nei neuroni della coclea. " Si tratta della prima volta in cui un risultato del genere viene ottenuto adottando una strategia farmacologica e non genetica”, aggiunge Garrido-Charles, ricercatrice dell'Ibec.

“Le nostre simulazioni al computer ci dicono che ascoltare la luce dovrebbe permettere di recuperare un udito molto più simile a quello fisiologico: il prossimo passo - conclude Huet - sarà verificarlo sperimentalmente”.