L’Italia ha raggiunto quasi mezzo milione di dimissioni volontarie tra aprile e giugno 2021, registrando un incremento del 37% allo stesso trimestre dell’anno 2020. Questo quanto rivelato da uno studio McKinsey, che ha analizzato i dati dei dipartimenti del lavoro dei vari Stati, in relazione al fenomeno della “The Great Resignation”, tradotto in “Le Grandi dimissioni”.

Lo studio ha rivelato una serie di dati statistici in merito alle dimissioni volontarie registrate nel mondo nell’ultimo anno. Primo in classifica si posizionano gli USA, con il 3% dei lavoratori che hanno deciso di lasciare il proprio posto di lavoro.

Il fenomeno in Italia, infatti, non è stato particolarmente impattante da creare delle situazioni di disagio rilevante, ma ha comunque risentito di un importante aumento di licenziamenti rispetto agli anni precedenti, e, secondo lo stesso studio, è un dato destinato ad aumentare.

Le motivazioni sono varie e non definite. Tra le cause principali sicuramente il Covid riveste un ruolo predominante, con il conseguente lockdown che ha stravolto il mondo del lavoro, basti considerare l’incremento dello smart working o la pressione nel dover svolgere la propria mansione sopperendo ai mille rischi causati dalla pandemia.

Valutando i dati, infatti, i settori maggiormente colpiti dalle “Grandi dismissioni” sono stati il comparto sanità, con un aumento del +44% e il settore metalmeccanico e delle costruzioni, con un +16%.

Un cambiamento spinto anche, e soprattutto, dal cambio generazionale e dalle correnti di pensiero diverse rispetto a quelle a cui si andava incontro fino a qualche decennio fa.

Millenial e Generazione Z, infatti, non sono più legati a quel concetto di “posto fisso” e stabilità a cui si era precedentemente ancorati. Anzi, i giovani di oggi preferiscono far posto alla libertà di espressione, alla spiritualità e all’abbandono del consumismo e della necessità materiale per rendere possibile il proseguo delle proprie passioni e delle proprie ambizioni.

Ciò che ancor di più caratterizza questo fenomeno è il fatto che solo il 36% di chi si è licenziato non aveva ancora in mano un nuovo lavoro – sempre secondo McKinsey – e che questo avrebbe comportato un vero e proprio “salto nel vuoto” per queste persone.

A spiegare questa scelta da parte dei lavoratori– soprattutto giovani – è la ricerca di un’occupazione che possa bilanciare “il dovere con il piacere”.

Lo studio dell’IBM Institute for Business Value (IBV) – che ha coinvolto 14mila lavoratori di tutto il mondo – conferma questa necessità, sottolineando che il 32% di questi abbiano la necessità di lavorare in una realtà più flessibile.

Altro valido motivo è la volontà di svolgere incarichi più mirati e soddisfacenti, con un 27%. Il 51% guardano alla scelta della propria occupazione in base al bilancio tra vita privata e lavoro.